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venerdì 13 agosto 2010

violapensiero n°11



“Viola ha sei anni, i capelli biondi con la frangetta zig zag. Gliela taglia la mamma con le forbici, perché non ha mai tempo di portarla dal parrucchiere. – Non voglio tagliare la frangetta – dice sempre Viola alla mamma. Viola vorrebbe che i capelli le coprissero gli occhi e il viso, perché è una bambina molto timida e vorrebbe sempre nascondersi. – Come sarebbe bello essere invisibili – pensa Viola quando è in mezzo agli altri – Vorrei essere un piccolo camaleonte e cambiare colore – Invece il suo colore è sempre lo stesso: ROSSO che più ROSSO non si può.”


Lorenza Farina con illustrazioni di Marina Marcolin

Viola non è Rossa



Qualche settimana fa sono stata rapita in libreria da questo libro illustrato, una sorta di primo regalo per mia figlia Viola. Vi ho donato l’incipit, ma per rispetto degli autori mi sono fermata qui. La storia merita di essere letta accompagnata dal corpo delle illustrazioni con cui è nata. Questo libro è consigliato in internet dagli 8 anni in su; spero di “somministrarlo” a Viola un po’ prima... magari al posto dell’ennesimo antibiotico. Parentesi: per chi fosse appassionato come me di illustrazioni e altri prodotti letterari per ragazzi, consiglio vivamente la Lovat di Padova Est. E’ ben fornita e l’area per bambini non è compressa logisticamente come nelle altre librerie. Un segnale di attenzione al mondo dal basso.

Gli acquerelli di Marina Marcolin (http://www.marinamarcolin.blogspot.com/) sono straordinari, tolgono il fiato. Se ci guardiamo attorno, dove adulti e bambini vivono senza paura l’esibizione mediatica, il testo della storia a cura di Lorenza Farina dedicato alla timidezza potrebbe sembrare anacronistico. Eppure questi bambini ci sono stati. Alcuni di noi hanno attraversato questi sentimenti difficili e bui. E ci sono ancora.

L’estate è un osservatorio di convivenza privilegiato, che dona scoperte e insolite consapevolezze sui minori: sempre un amico prete di ritorno da un camposcuola mi raccontava come una bambina avesse colto l’occasione della confessione per liberarsi e narrare di come si sentisse un bersaglio dei compagni di scuola per alcuni aspetti e di quanto ne soffrisse. E’ rincuorante che la bambina abbia sentito la necessità e al contempo abbia trovato il coraggio, di raccontare queste intime vicende ad un adulto e che attraverso di lui abbia recepito alcune modalità con cui provare ad attraversare "il tunnel", che a quell’età sappiamo sembrare infinito e carico di fantasmi.



Anche nella storia di Viola non è rossa i compagni di classe sono un tormento infernale. Per Viola e per la nuova compagna con la frangia lunghissima, Nerina, che presa di mira al contrario impallidisce. “Nell’allegro frastuono” della classe talvolta si compiono delle violenze incomprensibili agli occhi degli adulti.  Per Viola l’arrivo di Nerina sarà il passepartout amicale per superare il disagio e l’esclusione. La storia si gioca con intelligenza sul linguaggio della pelle e porta ad osservare le persone nella sfera del non verbale, dove le maschere del linguaggio parlato non hanno cittadinanza. Nella nostra società la diversità  è una disabilità e Viola e Nerina simpatizzano proprio a partire da questo limite epidermico che le accomuna.

Il pensiero di oggi è breve e con semplicità raccoglie  il desiderio di adulta e madre di riuscire a decifrare con gli occhi del cuore quando un bambino e una bambina - non obbligatoriamente nostri! - s’infilano in tunnel del genere e poter far loro compagnia per la durata "chilometrica" di questa ferita che li renderà grandi e sensibili. E fare compagnia anche ai tanti “Gigi” della storia che si ergono a capofila tra i compagni del tormento violento della presa in giro. Anche in questi piccoli bulli c’è una ferita, forse ancora più difficile da stanare.

Timidamente, sogno un gruppo di adulti che spegne altre attività per cinque minuti e insieme ascolta la storia di Viola non è rossa. Ne usciremmo cambiati. In meglio.


mercoledì 11 agosto 2010

violapensiero n°10

“Il vero problema, però, è che spesso i genitori non si rendono conto che il comportamento dei figli è frutto di una loro scelta, e può capitare che si verifichi quella che io chiamo un’”educazione involontaria”. Non si fermano a ripensare all’andamento delle prime settimane per decidere se è davvero questo che vogliono, oppure non sono coscienti di quanto il loro atteggiamento possa influenzare le modalità di relazione con il bambino. Non cominciano da subito a comportarsi nella maniera in cui intendono procedere.



A essere sinceri, di solito sono gli adulti, e non i bambini, a innescare situazioni difficili. In quanto genitori, siete voi a dover prendere l’iniziativa: dopo tutto ne sapete certo più di vostro figlio! A dispetto del fatto che i neonati vengono al mondo con un temperamento assolutamente unico, il comportamento dei genitori può fare la differenza. Ho visto bambini “angelici” e “da manuale” trasformarsi in piccole pesti perché confusi dallo scompiglio e dall’agitazione. A prescindere dalla tipologia del vostro bambino, ricordate che siete voi a determinare quali abitudini svilupperà.


Anche il pensare a una propria routine può essere molto utile. Cosa vi succede quando la vostra giornata è sconvolta da un evento inaspettato o un ostacolo alle solite abitudini? Diventate irritabili e vi sentite frustrati, e magari perdete perfino la calma, cosa che può influire negativamente sull’appetito e sulla qualità del riposo. Il vostro neonato non è diverso, tranne che non può stabilire da solo una routine: siete voi a doverlo fare per lui. Se saprete stabilire un programma sensato che il bambino è in grado di seguire, lui si sentirà più sicuro e voi sarete meno travolti dagli eventi.”

Tracy Hogg con Melinda Blau

Il linguaggio segreto dei neonati



Nei primi mesi della gravidanza mi sono concessa letture che avessero per tema ciò che mi stava capitando dalla prospettiva psicologica. Non riuscivo a tenere tra le mani pubblicazioni sul modello educativo da mettere in essere. Percepivo che dovevo pensare ancora un po’ a me stessa senza sensi di colpa, ascoltare la trasformazione interiore, prima ancora che fisica, che si stava facendo spazio e che questa era la condizione necessaria per riuscire a prendermi cura della creatura che avrei messo nel mondo. Niente di assoluto, solo la strada che andava bene per me e che magari ad un’altra donna poteva stare stretta.

Poi è venuto il tempo di leggere qualcosa per capire dove andava a parare il fisico e di comprendere qualcosa di più di tanti aspetti biologici miei e del feto. Un tempo intermedio, una sorta di cuscinetto “anatomico” tra gli aspetti dell’anima della madre che iniziava a dischiudersi e l’ultima fase dedicata alle riflessioni educative tout court. In queste prime due fasi non ho mai chiesto a mio marito di leggersi i libri, che mi bevevo nelle pause tra un lavoro e l’altro. Mi sembrava una forzatura: se non ne sentiva il bisogno, dovevo rispettare questa diversità. Se c’era qualcosa che mi colpiva e che ritenevo di doverlo condividere, mi prendevo il tempo per raccontarglielo con la mia solita enfasi da presentatrice di cineforum e il suo solito disappunto. Del tipo: “con me non serve, puoi raccontarmelo in semplicità”. Deformazione.

Adesso, “a poche ore” dalla nascita, ci stiamo confrontando sul modello educativo che riteniamo significativo per crescere Viola. A monte tante domande: “A che persona stiamo pensando? Che donna? Che progetto umano per lei che progressivamente la lasci libera di farlo suo e/o di trasformarlo come crede?”. Provare a dare risposta a queste domande ci libera dalla scelta di un modello unico e ci rende curiosi di comprendere le varie declinazioni pedagogiche possibili e di intrecciarle tra loro senza essere succubi di una teoria lontana dalla persona che avremo tra le braccia. In questo caso continuo a raccontare a mio marito le varie “filosofie” educative – e relative azioni concrete – che intercetto tra una lettura e l’altra, ma dove colgo che c’è l’opportunità di pescare intuizioni, consigli e buone prassi gli chiedono di leggere e di provare a dirci se ci ritroviamo insieme in queste modalità oppure no. Insomma qui sento che è giusto forzare e che la diversità viene dopo. A volte mi guarda come se avessi un treno che parte a fine mese e che bisogna riuscire a dirsi tutto prima di salirci. Non proprio, ma la sensazione ha un fondo di verità.

Leggendo le diverse proposte educative e relativi pro e contro, ho intercettato un elemento comune su cui per magia concordano: i primi tre mesi, ma fin dal primo giorno di rientro dall’ospedale, sono i più proficui per attivarsi e mettere in pratica le dinamiche prescelte, ovviamente sempre in relazione alla persona unica verso cui le si pensa. Senza accenti fordisti! Non che dopo non si possa - anzi le scuole genitori che proliferano ovunque sembrano chiamarci in causa solo da certe età in poi - ma lasciando che i primi mesi scorrano come viene… si incorre in quell’educazione involontaria di cui parla Tracy Hogg e che non è meno efficace di quella scelta. Bisogna vedere se gli effetti portano alla persona che ci siamo raccontati nel progetto di crescita che dicevamo pocanzi.

Ammetto che mi inquieta che questi mesi prioritari corrispondano con il periodo che tutti gli amici ti descrivono come il più intenso fisicamente, quello in cui la madre è stordita, possibile di depressione e al tempo stesso protesa a dare tutta la linfa biologica e spirituale che ha in corpo (sua maestà la tetta!). In mezzo a questo marasma l’impossibilità di dialogare con tranquillità con tuo marito e fare due conti sul da farsi. Si, ecco per questo mi sento al binario del treno e colgo questo tempo come propizio per dirsi dove vogliamo andare con nostra figlia. Niente di trascendentale, il tutto si risolve semplicemente in un’amabile chiacchierata a due in osteria con il fresco di questo agosto fatto apposta per le gravide. Ci sono argomenti che meritano di chiudere i fornelli di casa: chi ci conosce, sa che i nostri sono sempre ghiottamente sotto stress!!!

Come sempre l’obiettivo che ti dai con questi confronti è essenziale, ma il processo che si scatena in coppia non è da meno. Non solo perché è davvero corretto che su questo ci sia una scelta e un’azione di coppia, ma anche per lo stupore che l’altro ti regala. Abbiamo letto lo stesso libro, ma già nel confronto sembrano due libri e ora si apre una sfida: il nostro libro, il nostro modello, le nostre flessibilità, le nostre eccezioni e così via.

C’è un pensiero che però mi frulla in testa, e nel cuore, e di cui parlavamo proprio di recente con tre preti (rappresentativi di tutto lo stivale, per dire che è più di un fatto locale!) a cena da noi. Si sa, io e Mauro siamo "portatori umili" di una fede e una partecipazione ecclesiale che vorremmo (non so bene con che risultati) orientassero anche le nostre scelte e le nostre giornate. Con tutti i limiti, le fragilità e le fatiche del caso, ma ci proviamo come possiamo. E’sotto gli occhi di tutti quanto la Chiesa documenti, verbalizzi, promuova, si dia anche alla guerriglia poco piacevole (in alcuni casi!) in onore della vita fin dal concepimento. Avete capito di cosa parlo. Quando inizia. Quando finisce. A difesa della vita nella sua più larga estensione. Percepisco, percepiamo (penso al trittico di preti con cui ne parlavamo) che c’è interesse a difendere quando la vita è in pericolo, ben venga!, ma quando non è in pericolo, ma si sta già compiendo secondo ciò che la chiesa stessa pensa (parlo di 9 mesi, non uno...) ecco che ti ritrovi in un silenzio e un’assenza totale di qual si voglia progetto o azione pastorale di accompagnamento per i genitori (sposati o meno). Eppure per pedagogisti ed esperti quei 9 mesi sono un tempo più che fecondo di scelte e di progettualità.

Ci sarà un intreccio armonioso tra la persona che vogliamo provare a crescere, il modello educativo che ci può aiutare e la spiritualità che regna in questa casa famiglia? Certo poi arriva il battesimo e il percorso che lo precede. E chi negherebbe un bagnetto sacro ai propri figli? Quantomeno per non deludere i nonni che attendono con ansia la data! Sento, sentiamo, tiro dentro sempre i prelati… uno stridore tempistico poco sano, una modalità pastorale retrò che non intercetta i positivi istinti educativi di alcuni genitori. Forse qualche iniziativa pionieristica c’è, ma ancora troppo sparuta.

Si lo so… pensieri oggi troppo ardui e impegnati, ma tra poco ho la visita in ospedale a Mirano e magari mi dicono che davvero tra poco Viola è pronta per burlarsi di tutte le nostre riflessioni educative e mi stava a cuore riuscire a condividere questo pensiero maieutico!

Chissà cosa ne pensate?? O magari avete qualche bella esperienza da raccontare..

A titolo di gossip, oggi il gallo è in anticipo di 15’, mi fa pensare: in anticipo, mai in ritardo. Dicono che la natura insegna.

martedì 10 agosto 2010

violapensiero n°9

“Sembra tutto scontato. Dove partorire? Ma in ospedale, naturalmente. Anche a me la cosa sembrava logica, anzi naturale. E invece durante i nove mesi mi sono informato, ho letto, studiato, parlato con vari medici e mi sono convinto che sia meglio non partorire in ospedale. Anzi evitare proprio ogni tipo di ospedalizzazione, se si può. Sono giunto alla conclusione che il luogo migliore per partorire è la propria casa. Perché bisogna riappropriarsi dell’esperienza del parto, soddisfare il bisogno di intimità. Il parto è un evento che appartiene prima di tutto alla vita della donna. C’è, finalmente dopo tanti secoli bui, una nuova consapevolezza che ha come effetto il desiderio da parte della donna di vivere il parto da protagonista, circondandosi delle persone di cui si fida, conservare un’aura di intimità intorno ad un momento che, dopo tutto, fa parte della sfera sessuale.

Basta con i tabù e le ipocrisie nascoste dentro i testi specialistici. Discernere il parto dall’ambito sessuale è allontanarlo dalla sua vera natura per poi snaturarlo, medicalizzarlo (quante sostanze chimiche vengono fatte prendere alla donna in gravidanza e prima, durante e dopo il parto) e quindi spersonalizzarlo. Come fosse una patologia. Così facendo la vita nasce innaturale e fuorviata. Negli ultimi anni le donne, fortunosamente o fortunatamente, stanno riscoprendo la fiducia nel proprio corpo e nel potere creativo. Che è il potere tout court. Non si vuole più delegare alla medicina un’esperienza che appartiene alla vita e non alla malattia.
Le implicazioni di questa scelta sono diverse e purtroppo anche spiacevoli, perché è un’esperienza che riguarda anche il sociale e il rapporto con gli altri. Perché quando nasce un figlio non solo i due genitori sono coinvolti, ma tutta la comunità. Decidere di partorire in casa in questa società chiusa diventa un fatto politico, un momento di sovversione quanto di eccentricità. In entrambi i casi si è visti male e possono nascere scontri. Dai vostri genitori, al bar dove siete habitué, è possibile che la vostra scelta non venga accettata. Bisogna saper affrontare l’ostilità, spesso frutto dell’ottusità e di convinzioni tanto salde quanto sbagliate. E bisogna farlo con calma e puntiglio.


Ma il parto in casa non è solo questo. Vuol dire che il bambino appena nato non verrà separato dalla madre, che dopo il parto si può godere senza limiti di tempo e di regole il primo incontro con il neonato. C’è poi il lato affettivo e spirituale della nascita, il senso profondo di una nascita nel rispetto della natura.”


Antonio Barocci

Parto di testa – la gravidanza del padre


Super tascabile consigliato a tutti. Una panoramica completa e godibile non solo dalle coppie in attesa. Si lo so, della gravidanza è naturale occuparsene e leggerne solo quanto ti travolge. Questo insolito racconto dei nove mesi è un mix equilibrato di serietà e ironia, che conquista fin dalle primissime pagine dedicate al sesso per poi avanzare senza tregua fino al parto. Barocci è un papà che ha deciso di scrivere la sua sull’essere “incinto” ed effettivamente di cose da dire ne ha. Alcune pagine dedicate alla donna nel frangente ormonale non potevano essere scritte con maggiore aderenza alla realtà dalla donna stessa. E non siamo di fronte ad un uomo avvolto nel misticismo, nella professione pedagogica o nell’ideologia di qualche strana filosofia naturalistica o new age. Barocci è un uomo normale da Champions League, che ha usato i 9 mesi per capire, osservare, comparare, studiare e prendere posizione su molte dimensioni che l’attesa di un bimbo propone.

Il vero colpo di scena segue senza preavviso questo capitolo dedicato al “dove partorire”, che continua con la descrizione di cosa serve in una casa per il parto e in quali situazioni non si mette in pericolo la vita del bambino e della mamma. E’ il capitolo dal titolo “Un parto tipo. O quasi” che è meglio di un film e non mi sono permessa di comprimere in una citazione di poche righe. Una decina di pagine, infuocate di ritmo e suspense, in cui ci rivela che malgrado avessero impiegato nove mesi ad organizzare ed allestire un parto in casa, svariate vicissitudini li porteranno all’ultimo momento a partorire in ospedale e a confrontarsi con tutto quello che avevano cercato di evitare. Una bella sfida o delusione? Entrambe probabilmente. E qui emerge l’uomo dal sangue freddo, il Bertolaso dell’ostetricia, che deve dare fiducia alla moglie spaventata e assolutamente non lucida e al contempo il padre che sta nascendo, che non riesce a trattenere il pianto per la fatica a cui viene sottoposta la moglie, che s’indigna per la poca anima che ritrova in ospedale, che sente le gambe cedere nelle posture del travaglio che vive con Nina (Barbara nella realtà!).

Al termine del libro non esce un uomo perfetto (e chi se n’importa!), ma a tutto tondo, che di questa esperienza femminile tratteggia una versione paterna profonda, simpatica e responsabile. Diversa, “di testa” ovvero di consapevolezza e sensibilità che declina in consigli appassionati (e ogni tanto scurrili, ma ci sta!) agli uomini che lo leggono. Chi ne trae maggior beneficio sono nascostamente le gravide che riflettono su di sé da un nuovo punto di vista delicato e onesto ma non compiacente!

Ritornando al dove partorire – ormai sono tante le donne che scelgono la location della propria casa – mi è piaciuta e sento autentica l’intuizione che il parto è una dinamica sessuale, che completa un atto già iniziato e richiede intimità e spirito di vita. Nessuna malattia e medicalizzazione, se non serve... Ormai sono molto diffusi i percorsi che insegnano ai padri tecniche e posture di accompagnamento e sostegno del parto naturale, non più come un affare solo della madre o uno spettacolo a cui assistere.

Una dinamica a due dove l’ostetrica guida la coppia in un amplesso speciale, eterno che li unirà come roccia. Una capacità fisica che non s’improvvisa e che nasce dallo spirito cercato e coltivato insieme in 9 mesi (e forse anche prima!).  E presumo ne rimanga coinvolta anche la sessualità che seguirà. In bene! Come dice Barocci… e se qualcuno è ostile, avanti dritti con questo fatto politico.