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sabato 31 luglio 2010

violapensiero n° 6


“I padri contemporanei disturbano. Ma, da sempre, non è proprio questo il ruolo del padre, in quanto tale? Sempre difficile da definire, da comprendere, da descrivere. Sfugge, resta un mistero. La sola definizione possibile è attraverso il modello del padre tradizionale, che è dura a morire. Resiste, nonostante i giganteschi cambiamenti della nostra società. […] Perché è così difficile accettare questi cambiamenti? Perché i padri ci infastidiscono tanto?

La prima ragione è che questo fenomeno va a intaccare l’immagine della madre. Perché se il padre cambia, lo fa anche lei. Lo status delle donne nella nostra società è mutato radicalmente (se paragonato alla loro situazione all’inizio del Ventesimo secolo) e di conseguenza anche il ruolo del padre si è modificato. Si tratta di due evoluzioni concomitanti: le madri si aspettano un’altra posizione. Forse è questo che disturba: che i padri occupino la posizione attribuita alla madre. Nella nostra vita fantasmatica la madre è un idolo intoccabile, e arrivare a scuotere questo ideale è una vera rivoluzione.

D’altra parte però, la nuova paternità intacca anche il concetto di virilità. […] Questi padri coltivano valori incompatibili con la visione tradizionale e idealizzata della virilità. Mostrano di possedere ciò contro cui gli uomini hanno lottato durante i secoli, la roccia primaria che il femminino rappresenta per l’uomo, secondo Freud. Con la loro presenza fisica e attiva accanto ai bambini, manifestano ed esprimono i propri aspetti femminili e infantili. […]

Dobbiamo chiederci se ci troviamo agli albori di un’epoca nuova, che metterà in discussione ciò che François Héritier descrive come un fenomeno universale, cioè che in tutte le società il maschile domina sempre il femminile. Se questo accadrà, è facile comprendere perché i padri danno tanto fastidio. Perché non disturbano solo le nostre famiglie, ma le fondamenta stesse della società. Sono i pionieri della società di domani.”


Simone Korff-Sausse,

In difesa dei padri -

Un ruolo da riscoprire, un mestiere da imparare di nuovo



Se questo testo fosse un film di e con Clint Eastwood, seduto sotto una veranda all’americana con una birra in mano, il mio ottantenne preferito ringhierebbe proferendo un mitico “Alleluia!”, unito ad altri particolari fallici che qui sublimiamo nell’aggiungere che l’autore è donna. Dettaglio che libera da pregiudizi di genere e incorona senza ombre la rivoluzione copernicana prospettata. In un agile volumetto Simone Korff-Sausse psicanalista, che insegna all’università “Denis Diderot” di Parigi, fa il punto sulla figura del padre oggi, sui cambiamenti e le accuse miste rimproveri che gli si addossano. Il titolo non vi induca a pensare di trovare i consigli alla Pellai, Poli o Risé da sottolineare. Altro taglio. E’ un saggio, anche complesso, capace di delineare il panorama allargato, oltre la famiglia, dei cambiamenti che questa parata di papà, non più assenti, porta con sé. Un panorama che toglie il respiro. Che soffoca di speranza.

Il rischio da correre? Conoscere uomini “risolti e integrati”. Uomini che lasciano emergere il femminile che sopiva in loro. Uomini che fanno i conti con il bambino che sono stati. Uomini che si pensano carichi di “autorità” quanto di affetto, delicatezza e presenza. Ovviamente la Korff-Sausse vede oltre il benefit di un pannolino cambiato dal papà. La portata del cambiamento va oltre le pappe e i vaccini.

I freni? La società, la politica, l’economia… e le donne. L’autrice afferma che per fare un padre serve “un figlio, una madre, una società”. Se dopo millenni i padri sanno ridefinirsi, (nel testo scivola indietro fino a San Giuseppe!), questa nuova identità comporta un ri-posizionamento delle madri e della società dove il femminile (e non la donna!) governerebbe. La virilità battagliera della spada retrocede lasciando spazio alla dimensione creativa e trasformativa che caratterizzano sia l’uomo che la donna.

Si, alleluia! Penso che questo nuovo umanesimo paterno oltre ad una minore entropia nelle case italiane, potrebbe portare una dose di compassione, sensibilità, delicatezza e spontaneità in tutti gli ambiti della vita senza ferire il mondo.

E’ un cammino che potrebbe essere incluso negli otto “obiettivi del millennio” delle Nazioni Unite e che richiede uomini capaci di solcare strade impervie e donne che si sanno fare da parte. Intendiamoci, senza ingenuità. So che non aspettiamo altro che essere aiutate, ma penso che un padre che investe davvero tutte le sue componenti identitarie non arrechi solo un sostegno domestico ed educativo, ma prima di tutto ci provochi intimamente a rivederci in ogni nostra modalità e a fargli spazio davvero e non solo perché abbiamo recuperato anche la badante al maschile per i nostri figli.

In questi mesi di gravidanza Mauro (il papà di Viola!) sta lasciando emergere anche una dimensione di sé dolce ed affettuosa, più equilibrata, che mette in seconda posizione la rigidità, la precisione e la forza con cui di solito si muove e relaziona con gli altri (e ancor prima con se stesso). Anche solo dalla pancia, Viola già lo sta provocando a fare i conti con il suo femminile. E non sto parlando di scene melense e insipide, ma di sequenze che osservo e per ora valuto in silenzio, quasi commossa, e aspetto il seguito post partum di questa sua ricerca di sé. Senza lusinghe e conscia di quanti ostacoli possa incontrare. E vale comunque doppio, perché lui non ha un solo ormone o un kilo in più, che gli impedisce di guardarsi i piedi, che lo obblighi a questa resa dei conti.

Penso che tante altre donne stiano vivendo la mia sensazione e che forse alcune madri del passato abbiano avuto la stessa fortuna di conoscere dei “pionieri”, ma sappiamo anche quante non l’hanno avuta o in questo minuto non la stanno avendo. Ogni tanto quando mio marito “riabbraccia la spada”, percepisco lo stridore di che cosa significa vivere solo di virilità. E cosa per una donna comporti vivere di sola femminilità. (Pochi giorni fa aprivo il blog con la citazione sull’espulsione del parto che avviene proprio grazie al maschile che è nella donna.)

Se non esagero, questa del maschile-femminile integrati nella persona (e non la dualità di contrasto uomo-donna) è l’unica pari opportunità che si dovrebbe perseguire. Il resto verrebbe come necessità e non come politiche di quote rosa, che oggi suonano come “quote latte” acquistabili poco convincenti, per nulla autentiche e non sufficientemente moderne. Quote non interiorizzate e imposte. Ci sono una quota rosa e una celeste che ognuno si deve giocare in sé e per sé. A volte non basta una vita per farcela! A volte basta una vita che bussa alla porta!

p.s. facciamo un’associazione per tutelare e promuovere il “fastidio” che questi pionieri portano con sé?

giovedì 29 luglio 2010

violapensiero n°5

meno 1 mese, 1 giorno

lei


Le donne senza figli non sopportano l’intenerimento di certe madri di fronte ai bambini: stanno fuori casa un week-end per girare una pubblicità e si ritrovano con i figli degli altri in braccio ad annusarli, contargli i denti in bocca, quasi per tamponare una ferita aperta, quasi a guadagnarsi una dispensa o una redenzione. O comunque, un attestato di buona fede. Forse dopo un po’ in me noteranno gli stessi sintomi. Non potrò fare a meno di rispondere clinicamente “15 mesi e mezzo” alla domanda “quanto ha”? Ci terrò a precisare che ad un anno non può riconoscersi allo specchio, come i gatti o le scimmie, e che l’età dei perché viene dopo. Forse mi tratteranno come una madre, con la delicatezza che si riserva a chi soffre ogni giorno perché ha ricevuto uno strappo; magari mi offriranno lavori, o piccole mansioni, che hanno a che fare perifericamente con i bambini, forse potrò mettere la maternità nel curriculum perché rappresenta una credenziale in più. […]


Ricevo persino consigli cinematografici, nell’ottica e rispetto della mia maternità: aspetta dopo il parto per guardare Lourdes. Non che mi dispiaccia l’idea di guardare una commedia leggera o di lavorare per l’infanzia. Eppure, se alla società di oggi bisogna dare atto di qualcosa, è che lascia altre vie, alla donna, per sentirsi indispensabile.”





Arianna Giorgia Bonazzi e Arnaldo Greco

Sopravvivere all’attesa – Manuale per giovani coppie



Fresco di stampa (aprile 2010!) questo libro che mi è stato segnalato giorni fa da un’amica e lettrice del blog violapensiero, mi ha lasciato molti spunti su cui avrei voglia di tornare. Gli autori sono una coppia sotto i trenta con figli, una specie protetta, che in un diario lui-lei e in un conto alla rovescia annotano pensieri, situazioni, sensazioni che li travolgono nei nove mesi di attesa. Anche se a tratti troppo cinico o distante da me, il libro ha pagine di forte ilarità che fanno riflettere e mettono nero su bianco esperienze che la maggior parte delle coppie “gravide” si trova a vivere.

Ma in questa pagina c’è un’esperienza che è mia più di altre. Se qui sconsigliano il film Lourdes in gravidanza, posso definirmi senza dubbio madre sconsiderata e irresponsabile. Le mie visioni di questo film con relativa introduzione e commento con il pubblico post proiezione si attestano attorno alla quindicina di volte. Si, quindici… Viola è spacciata. Qualsiasi turbe possa manifestare in futuro sarà addebitabile al film della Hausner. Dovrebbero mettere anche queste curiosità negli extra dei dvd.

Ho girato il Veneto tra febbraio e marzo in compagnia di questa pellicola. In una di queste proiezioni ricordo anche di essere uscita e aver dormito appoggiata a terra nell’atrio di un cinema, perché non riuscivo a sostenere la sonnolenza dei primi mesi. L’esatto contrario dell’insonnia attuale. Non penso esista un’entità più flessibile di una donna gravida. In una proiezione mi dovetti pure subire le rimostranze, direi violente, di alcuni spettatori infastiditi dal film che accompagnarono il tutto anche successivamente con una lettera ad un giornale. Forse le amiche di questa scrittrice erano proprio sagge nello sconsiglio. Ricordo che quella sera rivelai alla persona che era con me a gestire l’evento e a presentare che ero incinta. Non lo sapeva quasi nessuno, nemmeno i nostri genitori… non ero ancora alla fine del terzo mese e volevamo superare il periodo più rischioso prima di condividere e annunciare l’arrivo dell’erede!

Una tutela silente che oltre a metterci al riparo da possibili delusioni ardue da comunicare a tutti, mi ha dato modo di respirare e ascoltare ciò che stava davvero accadendo in me e nella famiglia e che ad un occhio distratto nel fisico diceva ancora poco, ma che interiormente metteva radici eterne. Non penso esista un tempo giusto per dire o non dire, ogni coppia però ha il dovere e il diritto di assecondare ciò che sente buono per sé. Una cosa sana di questa attesa è stata proprio l’attesa nell’annuncio. Almeno abbiamo compreso un po’ di più cosa andavamo gridando. Sempre a proposito di flessibilità, fa sorridere la parabola dall’intimo silenzio al blog globale, ma forse non è a caso che l’annuncio cresca in modo direttamente proporzionale alla pancia.

Insomma, lo rivelai a questa persona cara che condivideva quell’appuntamento professionale, perché sentivo che quella sera avevo fatto del male a Viola (al tempo fagiolino incolore!), non io con le mie mani, ma subendo quell’attacco molto forte davanti a centinaia di persone l’avevo messa in pericolo e l’avevo esposta ad emozioni troppo negative. Vi risparmio le citazioni di libri che ebbi il piacere di leggere in seguito e che mi confermarono a livello di studi quanto io avevo capito con l’istinto. Durante la proiezione condividemmo in semplicità la mia “duplicità” fisica e la barbaria che avevo sentito sulla pelle e parlarne insieme mi diede serenità per concludere la serata nel commento senza violentare ulteriormente la pancia.

Quella sera, e in altre occasioni, ho realizzato che le persone possono essere più feroci e pericolose di un film. Certo, ho dovuto apprendere in questi mesi una “giusta distanza” dalle opere che vedevo e su cui mi mettevo a scrivere o a lavorare. Quando ti ritrovi a piangere anche solo per un servizio al Tg, nel buio di una sala per più e più volte alla settimana gli ormoni possono lasciarti in mare aperto senza salvagente.

Al corso di gravidanza consapevole (quello con lo yoga allegato!), l’ostetrica ci invitava all’egoismo: a circondarci per nove mesi solo di cose belle, serene… (da un panorama ad una musica). So di non averla ascoltata fino in fondo. Non mi sono fatta mancare una sfilza di film d’essai (si soffre sempre per un buon 70%!). La morte per parto della mamma interpretata da Isabella Aragonese nel film La nostra vita di Lucchetti è stato un lutto totale.

Ma a mio modo l’ostetrica l’ho ascoltata: ho imparato ad allontanarmi dalla cattiveria umana, perché al cinema entro le tre ore arrivano i titoli di coda e magari anche la catarsi, con le persone talvolta proprio no. Ho intenzione di mantenere questa prassi anche allo scadere degli ormoni. Anche a questo serve mettere al mondo un figlio e non è poco.

martedì 27 luglio 2010

Violapensiero n° 4

«Do you know Pippi Longstocking?» dicono le copertine gialle esposte in libreria, le locandine del Teatro dell’Opera, le scritte sul fianco delle navi al porto di Stoccolma. Ecco la conoscete? Che peccato se vi manca: cosa vi siete persi. Sareste persone diverse se foste cresciuti con lei: donne e uomini diversi, verrebbe da dire migliori. […] E’ proprio inutile rompersi la testa a studiare le carte dei ministeri per capire il segreto del «modello svedese» […] Bisogna prendere un fine settimana libero, invece e andare a Vimmerby. 300 km di boschi da Stoccolma, case storte di legno. Migliaia di bambini al parco di Pippi. Bimbe con la parrucca di capelli rossi e anche senza, tanto ce li hanno di natura, mezze nude col freddo che fa e con le gote rosse, le scarpe troppo grandi, i vestiti sghembi, ragazzini che si issano aiutandosi uno con l’altro a salire in groppa ad un cavallo di cartapesta alto due metri, che salgono incertissime scale a pioli e restano lassù, a cavalcioni sul tetto. Pensa ai nostri parchi giochi nei giardini: allo scivolo c’è sempre un adulto che regge suo figlio, stai attento. […] La questione è questa. Mentre noi avevamo Pinocchio loro avevano Pippi. Noi abbiamo imparato a tre anni che se dici le bugie ti cresce il naso, se non vai a scuola ti vengono le orecchie di un asino, se ti comporti male ti succedono cose terribili ma è per colpa tua. Colpa, si: allora ti devi pentire. Devi espiare, essere buono e torni bambino. Buono, composto, pentito uguale bambino. Loro: Pippi Calzelunghe. Che vive da sola, «non ha né mamma né papà, e va bene così perché non c’è nessuno che le dice che deve andare a letto proprio quando sta cominciando a divertirsi». Che mangia sdraiata sul tavolo col piatto sulla sedia e nessuno le spiega che deve stare composta. Che dorme alla rovescia con i piedi sul cuscino «perché preferisce». […] Si cucina da sola, si veste da sola con una calza verde e una gialla, con le scarpe troppo grandi tanto nessuno le dice cosa è «troppo». Pippi che è libera, autosufficiente, indipendente, forte, completamente autonoma, generosa, saggia della saggezza formidabile e assurda che hanno i bambini prima che qualcuno gli spieghi che sbagliano, che così non si fa, la regola è un’altra. […] Pippi che è bellissima anche con le lentiggini e il naso a patata, le trecce all’insù mica il caschetto di capelli biondi con la riga. Pippi, che è felice.



Poi uno dice: perché in Svezia le donne sono il 50% in Parlamento, stanno a casa 18 mesi quando fanno un figlio, perché lavorano più degli uomini, non conoscono la disoccupazione e mandano avanti l’economia. Perché le trovi fuori la sera a gruppi di sei anche se è buio pesto e sono alla guida delle aziende, perché la polizia se trova un cliente con una prostituta manda in galera il cliente. Le buone leggi, certo. Il welfare perfetto. Non sarà mica per Pippi. Non solo, di certo: però aiuta. Intanto loro da piccoli sono cresciuti con quel modello lì. I danesi con la Piccola Fiammiferaia e la fatalità del destino cupo da sopportare com’è, con le vesti nere di Andersen. I francesi con Asterix il gallico imbattibile e protervo, noi con Pinocchio. Loro con Pippi Calzelunghe.


Concita De Gregorio, Una madre lo sa – Tutte le ombre dell’amore perfetto



Spero che qualche genitore, o amante della disciplina come mio marito, non sia rabbrividito leggendo questo stralcio di una delle 22 storie raccolte dalla De Gregorio in un volumetto Oscar Mondadori. Alcune molto toccanti, altre come questa più ironiche. Ammettiamolo, fa pensare! Ad esagerare si vede sempre con più lucidità.

Però, se ripenso al mio rapporto personale con Pinocchio, è stato davvero di estrema sofferenza per ogni cattiva azione che metteva in atto e le punizioni che si tirava addosso. Ricordo un senso di dolore quasi fisico. Solo ora mi chiedo se era giusto soffrire così tanto.

Senza nulla togliere all’affetto che abbiamo per il Burattino, la creatura di Geppetto ci ricorda parallelamente anche il medesimo approccio religioso “colpa-espiazione” messo in pratica per troppo tempo. Una pastorale un po’ più illuminata pedagogicamente se ne sta liberando, ma i danni son già stati fatti, oppure senza essere troppo tragici, se non son danni, se ne vedono comunque i pochi frutti.

Mettiamo da parte Pinocchio, nello squallore generale ci siamo persi per strada anche il poco letterario che avevamo, e guardiamo che cosa l’oggi propone a Viola e a tutti i bambini che con lei e prima di lei hanno tenuto viva dentro di me una passione educativa autentica. I bambini non hanno mai smesso di interessarmi. In questi anni ho acquistato favole, illustrazioni, dvd, libri che mi univano simbolicamente ad un mondo dal basso, che non mi coinvolgeva ancora come madre e come famiglia, ma che civilmente mi stava a cuore.

In ordine di visibilità direi che la versione tricolore di Pippi Calzalunghe è sostituita dal trittico che ci porterà nel welfare del far west: Hello Kitty, Veline e Velone. E in quarta posizione, ma facciamola salire sul podio anche lei, poverina se lo merita vista l’intensa e faticosa attività pubblicitaria: Belen Rodriguez.

Parentesi: vi autorizzo a sedarmi se tra i 70 e gli 80 anni sarò disponibile a farmi umiliare da un simil Enzo Iacchetti impegnato in apprezzamenti indecenti e richieste di “stacchetto”. Il mutuo che staremo ancora pagando potrebbe portarmi alla follia di partecipare, ma da lucida scriverò nel testamento che preferirei giocare a carte in una casa di riposo (e odio le carte…). Sicuramente ci sarà qualche assistente che mi guarderà con maggior eleganza.

Dove volete che andiamo se Hello Kitty si è impadronita anche del ciclo mestruale delle bambine. Si esistono, sono stata edotta da un amico prete che al camposcuola ha potuto constatare che vengono pure acquistati. In questi mesi di gravidanza e libertà, mi sono persa i nuovi arrivi nello scaffale che definirei “dolore fin dalla tenera età”! Lo so è triste, dovevamo avere anche gli assorbenti con il fiocco rosa sull’orecchio sinistro. Purtroppo non penso che la micina giapponese regalerà all’universo femminile una dose di dolore minore.

La creazione fantastica più conosciuta nel mondo dell'infanzia ad oggi in Italia è un marchio, non è una storia, non è più letteratura e non c’è nessun Collodi. Allora è meglio affondare nella poltrona di un cinema tra le mani della Pixar che regala tonnellate di creatività applicata almeno ad una storia mai banale.

Non voglio consumare i tasti del notebook per dire qualcosa anche su Veline, Velone e Belen. L’universo femminile nell’immaginario collettivo è semplicemente all’anno zero. Bambini e bambine si chiederanno perché le loro mamme non si distendono sulla sabbia strapagate dalla Tim (le sorelle invece ci proveranno!) o perché non ballano ogni sera all’ora di cena con il lato B al vento sopra il tavolo. Ah si, il tavolo non serve per mangiare. Allora è vero: era meglio Pippi Calzelunghe che mangiava sdraiata sul tavolo con il piatto sulla sedia. Questione di assemblaggio, forse poco composta, ma lei mangiava e se ne faceva!
La generazione di Pinocchio ha saputo creare Veline, Velone e ha lasciato spazio in ogni casa italiana a Belen ed Hello Kitty. Si, era meglio Pippi.