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giovedì 29 luglio 2010

violapensiero n°5

meno 1 mese, 1 giorno

lei


Le donne senza figli non sopportano l’intenerimento di certe madri di fronte ai bambini: stanno fuori casa un week-end per girare una pubblicità e si ritrovano con i figli degli altri in braccio ad annusarli, contargli i denti in bocca, quasi per tamponare una ferita aperta, quasi a guadagnarsi una dispensa o una redenzione. O comunque, un attestato di buona fede. Forse dopo un po’ in me noteranno gli stessi sintomi. Non potrò fare a meno di rispondere clinicamente “15 mesi e mezzo” alla domanda “quanto ha”? Ci terrò a precisare che ad un anno non può riconoscersi allo specchio, come i gatti o le scimmie, e che l’età dei perché viene dopo. Forse mi tratteranno come una madre, con la delicatezza che si riserva a chi soffre ogni giorno perché ha ricevuto uno strappo; magari mi offriranno lavori, o piccole mansioni, che hanno a che fare perifericamente con i bambini, forse potrò mettere la maternità nel curriculum perché rappresenta una credenziale in più. […]


Ricevo persino consigli cinematografici, nell’ottica e rispetto della mia maternità: aspetta dopo il parto per guardare Lourdes. Non che mi dispiaccia l’idea di guardare una commedia leggera o di lavorare per l’infanzia. Eppure, se alla società di oggi bisogna dare atto di qualcosa, è che lascia altre vie, alla donna, per sentirsi indispensabile.”





Arianna Giorgia Bonazzi e Arnaldo Greco

Sopravvivere all’attesa – Manuale per giovani coppie



Fresco di stampa (aprile 2010!) questo libro che mi è stato segnalato giorni fa da un’amica e lettrice del blog violapensiero, mi ha lasciato molti spunti su cui avrei voglia di tornare. Gli autori sono una coppia sotto i trenta con figli, una specie protetta, che in un diario lui-lei e in un conto alla rovescia annotano pensieri, situazioni, sensazioni che li travolgono nei nove mesi di attesa. Anche se a tratti troppo cinico o distante da me, il libro ha pagine di forte ilarità che fanno riflettere e mettono nero su bianco esperienze che la maggior parte delle coppie “gravide” si trova a vivere.

Ma in questa pagina c’è un’esperienza che è mia più di altre. Se qui sconsigliano il film Lourdes in gravidanza, posso definirmi senza dubbio madre sconsiderata e irresponsabile. Le mie visioni di questo film con relativa introduzione e commento con il pubblico post proiezione si attestano attorno alla quindicina di volte. Si, quindici… Viola è spacciata. Qualsiasi turbe possa manifestare in futuro sarà addebitabile al film della Hausner. Dovrebbero mettere anche queste curiosità negli extra dei dvd.

Ho girato il Veneto tra febbraio e marzo in compagnia di questa pellicola. In una di queste proiezioni ricordo anche di essere uscita e aver dormito appoggiata a terra nell’atrio di un cinema, perché non riuscivo a sostenere la sonnolenza dei primi mesi. L’esatto contrario dell’insonnia attuale. Non penso esista un’entità più flessibile di una donna gravida. In una proiezione mi dovetti pure subire le rimostranze, direi violente, di alcuni spettatori infastiditi dal film che accompagnarono il tutto anche successivamente con una lettera ad un giornale. Forse le amiche di questa scrittrice erano proprio sagge nello sconsiglio. Ricordo che quella sera rivelai alla persona che era con me a gestire l’evento e a presentare che ero incinta. Non lo sapeva quasi nessuno, nemmeno i nostri genitori… non ero ancora alla fine del terzo mese e volevamo superare il periodo più rischioso prima di condividere e annunciare l’arrivo dell’erede!

Una tutela silente che oltre a metterci al riparo da possibili delusioni ardue da comunicare a tutti, mi ha dato modo di respirare e ascoltare ciò che stava davvero accadendo in me e nella famiglia e che ad un occhio distratto nel fisico diceva ancora poco, ma che interiormente metteva radici eterne. Non penso esista un tempo giusto per dire o non dire, ogni coppia però ha il dovere e il diritto di assecondare ciò che sente buono per sé. Una cosa sana di questa attesa è stata proprio l’attesa nell’annuncio. Almeno abbiamo compreso un po’ di più cosa andavamo gridando. Sempre a proposito di flessibilità, fa sorridere la parabola dall’intimo silenzio al blog globale, ma forse non è a caso che l’annuncio cresca in modo direttamente proporzionale alla pancia.

Insomma, lo rivelai a questa persona cara che condivideva quell’appuntamento professionale, perché sentivo che quella sera avevo fatto del male a Viola (al tempo fagiolino incolore!), non io con le mie mani, ma subendo quell’attacco molto forte davanti a centinaia di persone l’avevo messa in pericolo e l’avevo esposta ad emozioni troppo negative. Vi risparmio le citazioni di libri che ebbi il piacere di leggere in seguito e che mi confermarono a livello di studi quanto io avevo capito con l’istinto. Durante la proiezione condividemmo in semplicità la mia “duplicità” fisica e la barbaria che avevo sentito sulla pelle e parlarne insieme mi diede serenità per concludere la serata nel commento senza violentare ulteriormente la pancia.

Quella sera, e in altre occasioni, ho realizzato che le persone possono essere più feroci e pericolose di un film. Certo, ho dovuto apprendere in questi mesi una “giusta distanza” dalle opere che vedevo e su cui mi mettevo a scrivere o a lavorare. Quando ti ritrovi a piangere anche solo per un servizio al Tg, nel buio di una sala per più e più volte alla settimana gli ormoni possono lasciarti in mare aperto senza salvagente.

Al corso di gravidanza consapevole (quello con lo yoga allegato!), l’ostetrica ci invitava all’egoismo: a circondarci per nove mesi solo di cose belle, serene… (da un panorama ad una musica). So di non averla ascoltata fino in fondo. Non mi sono fatta mancare una sfilza di film d’essai (si soffre sempre per un buon 70%!). La morte per parto della mamma interpretata da Isabella Aragonese nel film La nostra vita di Lucchetti è stato un lutto totale.

Ma a mio modo l’ostetrica l’ho ascoltata: ho imparato ad allontanarmi dalla cattiveria umana, perché al cinema entro le tre ore arrivano i titoli di coda e magari anche la catarsi, con le persone talvolta proprio no. Ho intenzione di mantenere questa prassi anche allo scadere degli ormoni. Anche a questo serve mettere al mondo un figlio e non è poco.

1 commenti:

Violapensiero ha detto...

Quando ero giovane (di età) ero profondamente convinta che la vita la potevo costruire come mi pareva, che le mie decisioni su me stessa le avrei prese tutte io, che la parte più interessante e personale dell’esistenza era lì in quel momento.

Crescendo (nel senso diventando adulta) e facendo i conti con un’altra persona accanto e l’impegno che comporta vivere insieme in due e più, mi sono accorta che la mia storia è un dato essenziale e imprescindibile. Ciò che sono nasce da lì e soprattutto nella vita concreta e quotidiana tornano fuori puntuali le esperienze e le modalità di chi mi ha fatto e cresciuto, i miei genitori, con tutto il bene e il male che anche loro si portano appresso.

È proprio qui che abita la fatica di far incontrare due storie, di avvicinarle pian piano e un po’ alla volta farle diventare una storia sola, ma sempre plurale ... E che fatica!

Dopo 20 anni però mi sembra di riuscire a dire che ne vale la pena: è la crescita più impegnativa e più grande e soddisfacente, la mia prima di tutto e la nostra a seguire.

È sempre qui, nelle differenze delle nostre storie, che mi accorgo delle diversità tra lo stile di vita quotidiano della mia famiglia e delle famiglie dei miei amici, con i quali abbiamo condiviso e condividiamo tante scelte di fondo, di orientamento, di fede, ma siamo tanto tanto lontani nel modo concreto di tradurle nel fare la spesa, lavare il bucato, guardare la TV, dare la paghetta ai figli ...

Chiara

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