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sabato 7 agosto 2010

Violapensiero n°8


Mercé Anglada ha fatto nascere più di diecimila bambini, senza contare i gemelli. Ha cominciato nel 1962, ha finito quest’anno: ostetrica per quarantaquattro anni, ha visto passare dalla sala parto tre generazioni di medici. Non si è mai sposata, non ha avuto figli. «Mi telefonavano gli amici dalla spiaggia, certe sere d’agosto, e io ero lì accanto a una madre con le doglie. Potevo andare? Mi sembrava di no, non potevo lasciarla e dunque non andavo. Ogni tanto, oggi che sono in pensione ripenso alla vita fuori e la vedo scorrere come un film a cui non ho partecipato. Decine di appuntamenti che ho promesso e poi mancato, feste dove pensavo di arrivare magari in ritardo e non arrivavo affatto, viaggi e vacanze da cui ricevo cartoline che dicevano “Manchi solo tu”. A volte è stata dura, un paio di volte durissima. Però il miracolo era qui dentro, in questa stanza. Non ci si abitua mai, è incredibile, ma è proprio così: ogni volta è la prima. Ogni bambino che ho preso per le spalle, per i piedi, per un braccio e che ho tirato dentro questo mondo è stato un po’ anche mio.» […] «Ho imparato a riconoscere quasi subito, per esempio, che quando la madre grida “muoio”, è il momento in cui il bambino nasce.» Partorire è un po’ morire. «Esattamente. Al principio mi spaventavo. Pensavo: muore. E invece succedeva sempre lo stesso, perciò si può davvero concludere questo: la sensazione di morire è quella che coincide con la nascita. Un volta, certo. Quando non esistevano le anestesie. Quando le donne mordevano, graffiavano, ti stringevano fino a buttarti a terra. Ora guardi che calma, non si sente un sussurro. Una volta la prima cosa che chiedevano era: “Maschio o femmina?”. Ora lo sanno già, e sanno anche se sono gemelli. Mi ricordo negli anni Sessanta la faccia che facevano quando dicevi: “Piano che ne arriva un altro”. Qualcuna diceva anche: “Un altro no, per favore”. Poi però andavano a casa felici.» […] L’emozione più grande. «Stavo facendo un’esplorazione di routine ad una donna che aveva iniziato il parto, quando il feto, che aveva il braccio sopra la testa, allunga la mano e mi stringe un dito. Fu uno spavento pazzesco, gridai. Però una cosa stupenda, ancora me la sogno certe notti.» Adesso è tutto molto diverso, tutto più tranquillo. «I familiari che aspettano fuori l’unica cosa che chiedono quando il parto è finito è il peso del bambino. Del resto sanno già tutto. La prima domanda è davvero sempre questa “Quanto pesa?” La cosa che mi colpisce, soprattutto se penso agli inizi è che nessuno chiede mai subito come sta la madre. Nessuno tranne la madre della madre, che sempre – sempre – chiede per prima cosa come sta sua figlia.»





E’ l’alba, il gallo canta sempre come un orologio svizzero. Dopo questo testo compiuto, ho rispetto di aggiungere  poche righe. Sembra una poesia in prosa.

Vorrei affacciarmi dalla finestra per guardare fuori l’immobilità della vita, che caratterizza questi orari insoliti, ma la pancia m’impedisce di riuscirci. Mi intima di stare indietro, quel tanto che non mi consente di vedere verso il basso, ma di tenere sempre e solo lo sguardo verso l’alto. E’ una sensazione strana, ma simbolicamente pregnante.

Una madre anche se percepisce che potrebbe non farcela, pure nel peggiore dei modi… non guarda mai il basso dei suoi piedi, va oltre, l’orizzonte ha sempre la meglio. Forse non lo diciamo, ma sono certa che ognuna di noi medita in cuor suo, che potrebbe anche morire nel dare alla vita eppure non ci spaventa. O almeno per me, e mi auguro non per gli ormoni, la forza della vita che sento andare oltre me stessa, non mi getta nel panico di questa remota ma possibile eventualità.

La citazione viene sempre dal libro di Concita De Gregorio già proposto in occasione del duello Pippi-Pinocchio e dalla sottoscritta ampliato ad Hello Kitty.

Nascere porta con sé anche la morte, lo diceva anche Giovanni nel suo commento al post sui padri.
Morirò? Si, in ogni caso un po’ morirò, nel fisico e nell’anima. E’ un’opportunità. Chissà se il post partum rientra teologicamente nelle forme di risurrezione. Ci parlano solo di depressione. Magari aiuterebbe.

La mia pancia si è abbassata molto, il davanzale su cui poggiavo le braccia comodamente non esiste più, sento che Viola spinge, è incanalata per essere tirata nel mondo da braccia accoglienti. Percepisco che il momento della “bella morte” potrebbe essere sempre, questione di giorni…

L’unico desiderio che mi porto dentro è quello di trovare un’affamata della vita come quest’ostetrica. Un’amica che come Caronte farà con me questo trapasso benefico. Che sarà complice anche con mio marito.

Sono stati 9 mesi di forte medicalizzazione; alcuni approcci li ho detestati con tutta me stessa. La nutrizionista, una donna davvero in gamba, che in questi ultimi 2 mesi mi ha letteralmente liberata da questa modalità di alcuni suoi colleghi tutta protesa alla malattia, l’altro giorno salutandomi mi ha detto: “Sono certa che la tua prossima gravidanza si concluderà con un parto in casa accompagnata prima e durante solo dall’ostetrica”.

Senza essere assoluti e firmare un parto in casa, prima di aver vissuto il primo all’ospedale… però si, se le condizioni di salute lo permettono, riprendiamoci tutta l’anima di vita, senza patemi ospedalieri, che scorre in questa esperienza.

Mercé Anglada è un nome che racchiude come ringraziamento tutti i nomi di donne che sono state capaci o lo sono tuttora di accompagnare nel dare alla vita. Pensando alla “vocazione” dell’ostetrica mi viene in mente ciò che potrebbe essere un prete per le persone, futuristico? Chissà, magari si potrebbe cedere qualche ora di lezione di quelle che si tengono in seminario a donne come Mercé.  Va beh, non ci compete.

martedì 3 agosto 2010

violapensiero n°7


“Meno 6 mesi, 2 settimane, 6 giorni

Lui





Qui bisogna fare due conti. Banale, prosaico, inelegante, ma necessario. […] Cominciamo tagliando il superfluo. Per dire: è ormai un anno che in casa usiamo detersivi biodegradabili al 100%. Detersivo per i piatti, per i vestiti (che laviamo a mano: la lavatrice è un lusso che ancora non c’appartiene), ma anche sapone per le mani e per la doccia (per le parti intime, siamo affezionati ai buoni vecchi inquinanti. Ma questa è un’altra storia). E’ un gesto di cui ci vergogniamo un po’. Perché l’ecologia ha un prezzo e anche sentirsi buoni, sentirsi civili – non so bene come definirlo – ha un prezzo. Pure alto. Paghiamo 8.75 euro il boccione di detersivo per le mani che potremmo avere ad un quarto. Trovo del tutto imbarazzante che questa pace costi. […] Lavando i piatti pensavo al risparmio. Ed è stato immediato concludere: si ritorna al vecchio sapone Esselunga, o Standa o Auchan. Neanche una marca di quelle che fanno pubblicità, di quelle che si sa che sgrassano da matti, basta proprio il sapone entry level di un supermercato ( per usare un gergo da aziendalismo allegro). Però. Per chi ho comprato il sapone che puzzava e mi costringeva a vergognarmi fino a oggi? Perché ho spento il led del televisore? Ho detto a mia mamma di non comprare più lacca? Perché cerco di fare la differenziata per bene? La risposta è semplice: per chi verrà dopo di noi. […] La cosa si complica. Fino a quando questi posteri erano gente a me sconosciuta, invisibile e intangibile ero in grado di farlo. Poi, ora che la specie si protrae anche attraverso di me. Ora che un postero, lo instrado io giù per il mondo, ecco, proprio ora mi metto a pensare ma andate tutti a cacare. Pensiamo a noi stessi, tanto gli scienziati qualcosa si inventeranno […] Le nonne sono morte da tempo, ma sono sicura che se avessi chiesto loro: “Nonna, hai mai pensato di non avere bambini?”, loro non avrebbero capito la domanda. […] Si nasce, si muore, ci fa delle grandi risate in mezzo, ci si spacca la schiena , e si fanno i figli. Mi avrebbe detto così. […] Come si fa a parlare di futuro, in un paese che non vuole la responsabilità dei figli? No, meglio mettere il tappo, riempire il lavello d’acqua, insaponare tutto, e poi risciacquare.”

Arianna Giorgia Bonazzi e Arnaldo Greco

Sopravvivere all’attesa – Manuale per giovani coppie



Per il toto citazioni del violapensiero: non sono finiti i libri e non si rinizia il giro con quelli già menzionati. Anzi, se Viola non è pronta per essere sfornata, ce ne sono in coda parecchi che vorrei condividere, ma per le pari opportunità volevo dare la possibilità anche al “lui” di questo diario citato nel violapensiero n°5 di dire la sua su un tema, che mi sta proprio a cuore (e a portafoglio!).

Ho appena finito una colazione tutta biodegradabile, in questo caso per il mio fisico, che fa comunque parte dell’ambiente e dell’ecologia a pari merito, che mi costa giornalmente una media di 3 euro. Di solito si fa colazione a casa, e non al bar per risparmiare: nella pasticceria più rinomata di Padova mi costerebbe meno (è ammesso il toto scommesse anche sulla pasticceria!!). Il nostro bancomat viene strisciato in media 3-4 volte alla settimana al negozio biologico raggiungibile a piedi. Almeno la benzina non ha voce in bilancio. Vi tralascio gli importi e spero sempre che Mauro, da statistico, non tracci una curva dettagliata delle nostre spese bio. Quel giorno nell’alta padovana il cielo si oscurerà.

Per rimanere sui detersivi proprio ieri: un multiuso + la polvere per la lavastoviglie = 11€. Bisogna ammettere che la polvere mi dura tanto e consumo una quantità di detersivo inferiore alla classica pastiglia. Rimangono sempre 11€ (non sono pochi per due detersivi) e il nostro livello di vita non è molto diverso dagli autori del manuale di sopravvivenza all’attesa. Forse un po’ meno precari. E al bio, almeno in estate, compriamo solo la frutta, perché in questo periodo abbiamo ben due orti delle rispettive famiglie che intasano il frigorifero di verdure freschissime, altrimenti la curva dei costi crescerebbe in modo esponenziale. Ci sostengono motivazioni, oltre che ecologiche, anche di salute, che posticipo ad un altro post, perché si aprono pensieri sulla medicalizzazione della gravidanza su cui voglio tornare e spero prima della “rottura del tappo”.

Non vi nascondo che il pensiero di “Lui” si respira anche nella nostra famiglia e il senso di frustrazione è grande. Mi piace l’espressione “proprio ora che ne instrado" uno tutto mio. Si proprio ora, nel momento della testimonianza ravvicinata, un figlio tutto tuo con cui dare il meglio di te, dei tuoi valori e delle tue convinzioni per cui t’impegni da anni, i conti alla mano ti impediscono di farlo. Anche mettendo in atto le strategie di condivisione beni con parenti e amici, cercando di non lasciare spazio al superfluo che un marketing violento ti propone come essenziale per nove mesi, un figlio porta con sé già nella gravidanza e nella fase di allestimento concreto per l’arrivo dell’erede in casa, dei costi molto impegnativi che, da come ci dicono tutti con tono allarmante, andranno solo aumentando per “enne” anni.

Siamo come questa coppia: a parte la carta igienica (anche noi abbiamo qualcosa che è rimasto inquinante), tra negozio super bio e linea bio della Coop in questi anni c’abbiamo provato a fare la nostra parte. Abdicare per l’arrivo di un figlio, ti fa sentire idiota. Si, idiota. La famiglia è la culla della condivisione di uno stile di vita e rischi di condividere solo che non ti puoi permettere l’ecologia. E non perché non rinunci al ristorante o ai viaggi: già tagliati!

Come mi si addice, invece di ipotizzare quali spese biodegradabili tagliare, approfittando di questo approccio al femminile del marito di questo periodo (non rischio lo sgozzamento!) ho alzato il tiro. Sono stata nello storico negozio Zut in centro a Padova e ho acquistato due prototipi di pannolini lavabili. Si chiamano “Popolini”. Dal nome che fa simpatia, anche nel vederli, sembra tutto semplice come un film di Walt Disney. Un po’ meno il corredo che accompagna la messa in uso di questa filosofia lavabile.

Ho ipotizzato questo uso “reciclabile”, perché penso che la massa illimitata di rifiuto secco che determina la prole di cui ci facciamo carico, non abbia niente da invidiare alla marea nera che da mesi fa imbiancare quotidianamente Obama. Ma come tutte le scelte di un certo impatto va valutata in coppia e allora eccomi tutta fiera a casa con i miei due popolini e con un’ipoteca simbolica già pendente sopra di me: di 2 di diversi modelli ho già speso all’incirca 30€. Spiego a mio marito come funziona il tutto:

- Ne servono almeno una ventina per riuscire a dare il giro alle espulsioni poco poetiche, che Viola non mancherà di regalarci. Per chi non ha ancora confidenza, in alcuni periodi si va anche sugli 8 pannolini al giorno. Vendono delle valigette di popolini da 10 pezzi che si aggirano in base ai modelli su una media tra i 130€ e i 150€. Servirebbero almeno due valigette.

- Gli illustro i vari modelli e gli elementi pro e contro di ciascuno.

- Rincaro la dose dicendo che bisogna acquistare le mutandine della stessa linea per evitare lo sconfinamento della marea nera.

Vi lascio immaginare la faccia di Mauro in tutto questa mia promozione. Mi guardava come quando mi dice “Non stai presentando un film, non serve che attivi tutte le strategie di comunicazione…”.

Seriamente: ne guadagna in benessere 1. il culetto di Viola, 2. l’ambiente e 3. il bilancio familiare. Spenderesti di pannolini usa e getta comunque molto di più delle 300€ delle due valigette. Il tutto farebbe propendere per la tesi “adotta un popolino” da far girare tra gli amici, che non sanno cosa regalarti con 10-15 euro senza che il loro investimento finisca in un cesto infinito di giocattoli riesumati anni dopo solo dalla Pixar in Toy Story 4. Secondo voi è così semplice?? Magari, come un’alimentazione sana l’ecologia  costa in termini monetari e in termini di tempo e stile di vita.

Tre stadi si frappongono tra noi e il nostro dovere di buoni cittadini:

a) Dopo uno shock iniziale, presumo sia superabile lavare la cacca di tuo figlio (anche se metti della carta bio tra il culetto e il popolino, così mi ha spiegato il signore di Zut, qualcosa sborderà…).

b) Anche se avrai mille incombenze domestiche, poppate infinite, “enne” lavori extra da continuare a fare per sopperire al calo per maternità di uno stipendio già di suo “ecologico”, biodegradabile ma per il bilancio aziendale… forse ce la farai a fare le lavatrici no stop per non rimanere senza popolini. Un plotone di mamme, comprensibilmente esauste, mi ha già detto: “ti aspetto al varco dopo un mese di vita di Viola, altro che popolini… semplifica tutto quello che puoi”. E sarà pure vero anche questo…

c) Ma il vero dramma è asciugarli nell’inverno della pianura padana. Ovviamente, se non hai l’asciugatrice che non possiamo permetterci, men che meno in bolletta! Ma allora dobbiamo acquistare ancora più valigette e una signora che ti aiuti in casa?

All’offertorio del Battesimo mi vedo già un popolino innalzato al cielo della chiesa dalle mani del celebrante.

In un negozio bio che frequentavo anni fa vicino alla mia casa precedente, le auto dei clienti che arrivavano erano al 90% dei Suv immensi che prendevano due parcheggi. Al tempo, senza le spese di una vita a due fuori di casa, mi chiedevo se anche l’eco è un lusso, ora ne sono certa.

So che siamo passati dalle riflessioni filosofiche alla cacca di Viola, ma accumulata con quella di molti altri suoi coetanei la questione diventa filosofica, politica, civile. Vorrei risparmiare all’ambiente 1825 pannolini (una media di 5 pannolini per 365 giorni). Vorrei continuare a fare la spesa bio. Ma è davvero possibile per una famiglia normale? Parliamone.

p.s. E noi non siamo poveri. Ci sono famiglie messe a dura prova che non si pongono nemmeno la scelta del supermercato: solo discount. Tra tutte le ingiustizie i poveri hanno anche quella di inquinare?