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giovedì 20 gennaio 2011

Violapensiero n° 29


“Quando avevo un fumetto di Tintin aperto sulle ginocchia, nessuno sapeva che stavo leggendo. Tutti credevano che mi accontentassi di guardare le figure. Di nascosto invece leggevo la Bibbia. Il Vecchio Testamento era incomprensibile ma, nel Nuovo, c’erano delle cose che mi parlavano.

Adoravo il passaggio in cui Gesù concede il perdono a Maria Maddalena, anche se non capivo la natura dei suoi peccati, dettaglio, questo, di cui mi importava poco; mi piaceva il fatto che lei si gettasse ai suoi piedi e glieli strofinasse coi suoi lunghi capelli. Avrei voluto che la stessa cosa fosse fatta a me.”
Amélie Nothomb, Metafisica dei tubi

Il mio collega di stanza quando sono diventata mamma mi ha regalato questo piccolo romanzo a dir poco simpatico. Dopo tanti libri impegnati avrà pensato che era ora di dare un po’ di tregua al blog con un’opera, tutt’altro che disimpegnata, ma come scrive La Repubblica sicuramente “corrosiva”. Io e lui abbiamo passato così tanti anni stretti stretti in un ufficio che per motivi spazio-temporali possiamo definirci “una coppia di fatto” anche senza esserci scelti. Tra pochi giorni inizierò un’esperienza di “telelavoro” (l’ufficio da casa) e sicuramente la cosa che mi mancherà di più sarà il mio partner involontario.

C’eravamo lasciati con le peripezie dei neogenitori Burt e Verona in American life che nel film si dicono pensando alla bimba in pancia una frase che ci diciamo tutti con estrema facilità e che all’incirca suona "Lei sarà quel che vorrà”. Chissà se loro e noi saremo all’altezza nei gesti di tutti i giorni di avverare questa libera apertura. Nel dubbio, se volete rinforzarvi, il romanzo della Nothomb su questo fronte diverte amabilmente.

Amélie, figlia di un diplomatico belga, nacque in Giappone nel 1967 e vi rimase per cinque anni, prima di spostarsi in Cina con la sua famiglia. Ha scritto moltissimi libri tra cui la Metafisica dei tubi che riporta molte suggestioni autobiografiche della sua primissima infanzia. La storia è narrata in prima persona da questa creatura irriverente che passa dal vuoto/nulla dei primi mesi, (un tubo digerente con il nome “Dio”), alla conquista finalmente della vita (l’identità!) nel giorno in cui la nonna gli somministra del magico cioccolato bianco. Mentre lo leggevo mi chiedevo come sarebbe un film tratto da questo libro. Ricordo di aver provato la stessa sensazione con il romanzo L’eleganza del riccio.

Ogni pagina attesta la distanza siderale che intercorre tra lei e i suoi genitori che aspettano come un miracolo la fine dell’apatia iniziale della bimba che vive finora come un vegetale, per poi pentirsene amaramente quando la loro silente piantina si trasforma in una bestiolina irritabile che cancella il silenzio dalla faccia della terra. Il tutto sullo sfondo di un Giappone di cui l’autrice restituisce palpabili atmosfere e ricchi dettagli.


Questa citazione mi è venuta in mente l’altro giorno quando Viola è entrata definitivamente in società. Il come ve lo racconto subito. Dopo il bagnetto santo, il suo secondo battesimo penso sia stato cadere dal letto con tonfo solenne e provare quel dolore misto a stordimento e poesia (un volo pindarico!). Fatto sta che l’ho trovata sotto il letto a pancia in giù con un inizio di pianto subito placatosi nel raccoglimento di un abbraccio. Dopo aver devoluto 2-3 anni della mia vita all’aldilà per lo spavento, altre mamme sanno a cosa mi riferisco;-), è passato tutto in fretta tranne un letterale “ribaltamento emotivo” giornaliero della piccola e una guancia ammaccata definitivamente proprio color violetta. Ero passata in camera 2 minuti prima e Viola era dalla parte opposta di dove l’ho trovata a terra e per di più era ben recintata da un esercito di cuscini. Avevo già colto che dormendo faceva un giro di orologio con il suo corpicino atletico, ma di solito in un arco di tempo ragionevolmente lungo. E invece ha attraversato un intero letto in pochi istanti - una maratona per un bimbo! - malgrado si muova solo spingendosi sul culetto.

Rileggendo questo passo della Nothomb ho pensato che Viola, come la bimba Dio nella Metafisica dei tubi, si burla di noi. Ci fa credere che si sposta solo di poco come un'esile lumachina e invece lei si sa già muovere come una scaltra lucertola ma si guarda bene dal condividere questa capacità che altrimenti verrebbe subito civilizzata dagli adulti che l'hanno in custodia. E così sguscia al di fuori del mio sguardo con una certa agilità finché non cade ed entra come dicevamo per sempre in società. Cascare sarà una delle cose che non smetterà mai più di fare nella sua vita. In realtà le faranno credere, noi compresi, che diventare grandi significa non cadere più. Chissà se troverà qualcuno che all’orecchio le sussurrerà che pure gli adulti cadono, ma sono più furbi e usano altri verbi per dirlo. Crollare, piombare, ricadere, decadere... sfumature diverse che dicono i capitomboli dei grandi. E chissà se qualcuno la aiuterà anche a capire che diventare grandi è proprio sapersi rialzare con le proprie forze. Non che gli abbracci non servano da grandi, anzi e quanti…, ma di energie proprie il frigorifero della nostra dimora non dovrebbe mai trovarsi sprovvisto.

In questi giorni in cui mi capitano addosso “cadute” di ogni genere ed età, sto meditando su questa esperienza e sul suo significato. Un attività che mi piace fare in questi casi è giocare con i sinonimi e i contrari, perché mi pare di vedere meglio quanto sto cercando di afferrare e soprattutto di vederlo da diversi punti di vista. Anche da un versante più simbolico. Con il verbo “cadere” sento che questo gioco mi apre delle finestre di senso preziose. Cadere è scomodo, di certo non piacevole a nessuna età, ma se si prova ad esplicitare l’azione del cascare con parole diverse, forse diventa quasi un atto "sensato". Cadere non significa letteralmente cambiare altezza? e per dirla tutta, abbassarsi? E’ un po’ venire giù?

Senza aprire pedanti riferimenti all’attualità che ormai si commenta da sola, se cadere può avere anche questa traduzione - e non solo le due conseguenze di perdere una postazione e di sbattere contro qualcosa -, non è proprio solo una sventura. Chi non cade mai, non impara ad abbassarsi verso chi sta un po’ più giù (e non solo emotivamente). Chi non casca, altrimenti non viene mai giù dal piedistallo. E chi non finisce a pancia in giù, non cambia mai quota e penserà sempre che non esistano altri panorami esistenziali oltre al suo.

Esistono altezze diverse anche se dal pediatra cercano di incasellare i bimbi in un software in cui inseriscono tutte le loro misure per vedere se rientrano nella curva  della crescita tradizionale. Avrà anche il suo perchè medico, non lo nego, ma l'altra volta quando mi ha mostrato dove Viola si posizionava, ho avuto un sussulto negativo dentro di me. Ecco l'avevamo appena inquadrata nel sano-insano ed io ero stata complice di questa pratica schematica. Ovviamente era fuori curva e forse ne ero quasi quasi felice.

I bambini fingono, sanno essere e fare prima che noi ce ne accorgiamo. I bambini cascano dall'alto e mentre perdono dei centrimenti in altezza, altrettanto guadagnano qualche millimetro di cuore. Nuove altezze, nuove percezioni. Nuove percezioni, nuove sensibilità.  L'umanità si conquista anche dal basso. A dirla così sono quasi felice che Viola sia caduta e spero possa cadere ancora. Ovviamente solo se i tonfi diventano occasioni “metafisiche”.

Vi dico arrivederci con una maestosa citazione della Nothomb. Anche se la parte che amo di più  è quella in cui narra del regalo dei genitori: le tre carpe che diventano ironicamente per lei la trinità Gesù, Giuseppe e Maria. Troppo lungo per copiarlo. Scopritelo da voi.

“Se riesci a scrivere le meraviglie del tuo paradiso nella materia del tuo cervello magari non trasporterai nella tua testa la loro realtà miracolosa, ma la loro forza, quella sì. Vivrai solo consacrazioni. I momenti che lo meriteranno saranno coperti con un mantello di ermellino e incoronati nella cattedrale del tuo cranio. Le tue emozioni diventeranno le tue dinastie.”