Nel corso delle mie ricerche, mentre andavo scoprendo che tutte le mamme hanno in comune uno specifico assetto materno, cominciai a chiedere in quale momento avevano sentito di essere diventate davvero madri, presumendo che la risposta sarebbe stata: «Quando ho partorito, naturalmente». Dalle loro risposte imparai invece che la maggior parte della madri «diventa mamma» più e più volte con certezza crescente, nell’arco di diversi mesi. La nuova identità può sbocciare in un momento qualsiasi della gravidanza, per configurarsi poi con maggior precisione dopo la nascita del bambino e dispiegarsi pienamente dopo parecchi mesi di cure a casa, quando la mamma si rende conto di esser divenuta tale anche ai propri occhi. Ogni stadio di questa presa di coscienza ha valore di per sé, ma ogni volta viene aggiunto qualcosa in più all’identità materna. Il processo che dà luogo alla nascita dell’assetto materno attraversa dunque varie fasi: perché si formi una nuova identità è necessario che vi prepariate mentalmente al cambiamento, per poi affrontare un intenso travaglio emotivo che farà emergere nuovi aspetti di voi stesse; infine dovrete assumervi il compito di integrare con il resto della vostra vita le trasformazioni già avvenute. Tutto ciò avviene mentre voi siete impegnate a far crescere un bambino che sconvolge la vostra routine quotidiana, vi tiene sveglie di notte e richiede interamente la vostra attenzione. Però, quando guarderete in retrospettiva alla vostra vita, essere diventate mamma vi sembrerà una delle imprese più straordinarie che abbiate mai realizzato.”
Daniel N. Stern, Nascita di una madre –
Come l’esperienza della maternità cambia una donna
Il saggio di questo psicanalista specializzato nell’età evolutiva e professore di psicologia infantile (in realtà scritto assieme alla moglie, pediatra e psichiatra, e ad una giornalista specializzata nei temi della salute e della maternità) è ormai datato almeno nella stesura – la prima edizione è del 1999 – ma conserva il pregio di partire “dall’esperienza interiore vissuta dalle donne che diventano madri, un’esperienza spesso destinata a restare chiusa dentro di loro”. Non che non mi interessino e non senta il bisogno di approfondire tutta una serie di dinamiche concrete che ti travolgono e di cui non sapevi nemmeno l’esistenza e che riassumerei con il titolo “dall’acido folico al colostro”, ma sono amenità alla luce del sole che ricevono già attenzioni di ginecologi, ostetriche e medici. Quello che in contemporanea accade dentro di noi – intimamente – non riceve “monitoraggio”.
Tra la medicalizzazione costante dei processi fisiologici e biologici messi in atto nelle attuali gravidanze e i cambiamenti interiori che nel frattempo si compiono c’è una sproporzione di attenzione spaventevole. L’accento è ancora sul fisico, legittimo, ma l’anima e la testa sono “organi” che del fisico si prendono gioco come e quando vogliono. Penso sia ormai chiaro, leggendomi, che mi piace far emergere in superficie più questa crosta intima, su cui rischiamo solitudine e abbandono, che non la miriade di informazioni sul nostro corpo che senza tregua va ad ingrossare la cartella “nove mesi”. Si sa che ne abbiamo guadagnato in salute e vita della mamma e del bambino, ma qualche nonna, raccontandoti che partoriva nei campi senza aver mai fatto neanche una visita, qualche pensiero te lo mette…
In un percorso a ciclo continuo di “gravidanza consapevole e yoga preparto” promosso dall’Associazione Insieme di Rubano, che ho frequentato al posto del corso preparto in ospedale, ho avuto la fortuna di mettere insieme queste due sfere – fisica e psicologica – che come marito e moglie sono bisognose di un dialogo costante. Al termine dell’ottavo mese non ho consigli da dare a nessuna futura mamma, mi sento ancora “primitiva”, se non questo corso o altri similari, perché hanno la capacità di stendere un tappeto su cui ti viene voglia di sederti per ascoltare tutta te stessa, in particolare quelle zone che nessun prelievo venoso sarà in grado di raccontare, ma che per la salute del bambino hanno altrettanta importanza.
In gravidanza vorresti indossare quotidianamente una maglietta super-tech che riporta le risposte aggiornate alle domande che io stessa facevo quando trovavo un’amica in fase di espansione. Mi riferisco a: come stai fisicamente? Procede tutto bene? In quanti mesi sei? L’ecografia come è andata? Il sesso? Come la/lo chiamerete? Quando nascerà? E vattela a pesca… Una sorta di “home page” della gravidanza che diventa un tormentone e che potrebbe essere pubblicata e aggiornata su un profilo on line, perché non ha bisogno di una grammatica intensa e ricercata come hanno i pensieri disordinati e della madre che sta nascendo in noi. C’è un medico che si preoccupa se per caso quella madre non si stia sviluppando o si sia arenata nella sua esperienza passata di figlia, magari con alle spalle pure una madre “impegnativa”? Forse si, qualcuno ci sarà, ma ancora troppo rari. Tutte le attenzioni per il feto, che in realtà si sta già sviluppando anche nella sua personalità e molte delle sollecitazioni che riceve su questo fronte arrivano proprio dalle emozioni e vicende interiori della madre (e non dagli integratori di ferro, magnesio, potassio…..!!!!) escluse dalla cartella clinica.
Se volete creare un po’ di sano panico su vostra moglie, compagna, amica, collega, donna espansa per strada, fermatela e chiedetele “quando sei diventata madre?”. Forse qualcuna vi saprà rispondere all’istante con certezza disarmante ricca di dettagli, forse altre si prenderanno del tempo per pensarci e vi daranno appuntamento per una tisana, altre magari si ritorceranno in una timida barricata… ma la domanda è quella giusta e in questi casi la risposta conta meno, vale il processo che stimoliamo nella dea che abbiamo incontrato e nel dono che le abbiamo inaspettatamente portato. E costa meno dei giocattoli, creme, vestitini che regaliamo, ma lascia un ricordo eterno di qualcuno che davvero c’ha sfiorate. (Mi raccomando con questa scusa non interrompete i regali!!!)
Non racconterò qui una mia risposta a questa bella domanda, perché voglio lasciarmi la gioia (e la fatica) di rispondere a quanti avranno voglia di chiedermelo “in presenza” (dicitura che ho appreso essere in voga tra gli esperti di new media).
Se io fossi un datore di lavoro, indistintamente che si tratti di un uomo o di una donna, dopo aver letto il passo citato in alto di Stern mi sentirei di investire sulle madri nella mia azienda. Se una donna riesce a compiere quel cammino che Stern riassume brevemente, è una forza della natura per l’economia. In sé ha le caratteristiche per superare una crisi, per aprire nuove strade di produzione, per assicurare una creatività di pensiero e azione che per prima ha messo in atto nella sua “azienda” più intima di madre.
Lecito sospettare che sto parlando di me e per me (che male c’è?), amorevole pensare che sto abbracciando tutte le donne che vorrebbero offrire il meglio di sé percepito, raccolto e integrato nel diventare madri, anche nel mondo del lavoro e non solo nei ruoli più marginali di esso che non risentono delle assenze della maternità. Confido in un’economia con l’assetto materno. Utopia? No, sono sicura che Viola crescerà in una società del lavoro più lungimirante.
Il saggio di questo psicanalista specializzato nell’età evolutiva e professore di psicologia infantile (in realtà scritto assieme alla moglie, pediatra e psichiatra, e ad una giornalista specializzata nei temi della salute e della maternità) è ormai datato almeno nella stesura – la prima edizione è del 1999 – ma conserva il pregio di partire “dall’esperienza interiore vissuta dalle donne che diventano madri, un’esperienza spesso destinata a restare chiusa dentro di loro”. Non che non mi interessino e non senta il bisogno di approfondire tutta una serie di dinamiche concrete che ti travolgono e di cui non sapevi nemmeno l’esistenza e che riassumerei con il titolo “dall’acido folico al colostro”, ma sono amenità alla luce del sole che ricevono già attenzioni di ginecologi, ostetriche e medici. Quello che in contemporanea accade dentro di noi – intimamente – non riceve “monitoraggio”.
Tra la medicalizzazione costante dei processi fisiologici e biologici messi in atto nelle attuali gravidanze e i cambiamenti interiori che nel frattempo si compiono c’è una sproporzione di attenzione spaventevole. L’accento è ancora sul fisico, legittimo, ma l’anima e la testa sono “organi” che del fisico si prendono gioco come e quando vogliono. Penso sia ormai chiaro, leggendomi, che mi piace far emergere in superficie più questa crosta intima, su cui rischiamo solitudine e abbandono, che non la miriade di informazioni sul nostro corpo che senza tregua va ad ingrossare la cartella “nove mesi”. Si sa che ne abbiamo guadagnato in salute e vita della mamma e del bambino, ma qualche nonna, raccontandoti che partoriva nei campi senza aver mai fatto neanche una visita, qualche pensiero te lo mette…
In un percorso a ciclo continuo di “gravidanza consapevole e yoga preparto” promosso dall’Associazione Insieme di Rubano, che ho frequentato al posto del corso preparto in ospedale, ho avuto la fortuna di mettere insieme queste due sfere – fisica e psicologica – che come marito e moglie sono bisognose di un dialogo costante. Al termine dell’ottavo mese non ho consigli da dare a nessuna futura mamma, mi sento ancora “primitiva”, se non questo corso o altri similari, perché hanno la capacità di stendere un tappeto su cui ti viene voglia di sederti per ascoltare tutta te stessa, in particolare quelle zone che nessun prelievo venoso sarà in grado di raccontare, ma che per la salute del bambino hanno altrettanta importanza.
In gravidanza vorresti indossare quotidianamente una maglietta super-tech che riporta le risposte aggiornate alle domande che io stessa facevo quando trovavo un’amica in fase di espansione. Mi riferisco a: come stai fisicamente? Procede tutto bene? In quanti mesi sei? L’ecografia come è andata? Il sesso? Come la/lo chiamerete? Quando nascerà? E vattela a pesca… Una sorta di “home page” della gravidanza che diventa un tormentone e che potrebbe essere pubblicata e aggiornata su un profilo on line, perché non ha bisogno di una grammatica intensa e ricercata come hanno i pensieri disordinati e della madre che sta nascendo in noi. C’è un medico che si preoccupa se per caso quella madre non si stia sviluppando o si sia arenata nella sua esperienza passata di figlia, magari con alle spalle pure una madre “impegnativa”? Forse si, qualcuno ci sarà, ma ancora troppo rari. Tutte le attenzioni per il feto, che in realtà si sta già sviluppando anche nella sua personalità e molte delle sollecitazioni che riceve su questo fronte arrivano proprio dalle emozioni e vicende interiori della madre (e non dagli integratori di ferro, magnesio, potassio…..!!!!) escluse dalla cartella clinica.
Se volete creare un po’ di sano panico su vostra moglie, compagna, amica, collega, donna espansa per strada, fermatela e chiedetele “quando sei diventata madre?”. Forse qualcuna vi saprà rispondere all’istante con certezza disarmante ricca di dettagli, forse altre si prenderanno del tempo per pensarci e vi daranno appuntamento per una tisana, altre magari si ritorceranno in una timida barricata… ma la domanda è quella giusta e in questi casi la risposta conta meno, vale il processo che stimoliamo nella dea che abbiamo incontrato e nel dono che le abbiamo inaspettatamente portato. E costa meno dei giocattoli, creme, vestitini che regaliamo, ma lascia un ricordo eterno di qualcuno che davvero c’ha sfiorate. (Mi raccomando con questa scusa non interrompete i regali!!!)
Non racconterò qui una mia risposta a questa bella domanda, perché voglio lasciarmi la gioia (e la fatica) di rispondere a quanti avranno voglia di chiedermelo “in presenza” (dicitura che ho appreso essere in voga tra gli esperti di new media).
Percepisco il bisogno di aggiungere solo un altro tassello prima di chiudere il Violapensiero n° 3. Saranno pensieri lunghi, ma scrivo senza editore, direttore, battute e compenso e quindi spazio libero e senza l’ansia che non arriverete alla fine. Manca uno spillo che punge sugli aspetti sociali di questo discorso.
Se io fossi un datore di lavoro, indistintamente che si tratti di un uomo o di una donna, dopo aver letto il passo citato in alto di Stern mi sentirei di investire sulle madri nella mia azienda. Se una donna riesce a compiere quel cammino che Stern riassume brevemente, è una forza della natura per l’economia. In sé ha le caratteristiche per superare una crisi, per aprire nuove strade di produzione, per assicurare una creatività di pensiero e azione che per prima ha messo in atto nella sua “azienda” più intima di madre.
Sarà pur vero che manchiamo per alcuni periodi, che ci assentiamo più dei padri per assistere i figli malati (cose che fanno bene all’umanità e che andrebbero accettate come il pc che s’impalla o la fotocopiatrice che oggi non va, ma talvolta alle macchine si concede di più che alle persone…), ma quando ci siamo, possiamo portare quella forza di “integrazione” che richiama Stern, che fa bene ad ogni impresa, azienda, industria. Si sa che in questi contesti le decisioni non si prendono sulla scia di una scala valoriale, magari qualche imprenditore anche si, ma nella maggior parte dei casi è la convenienza a dettare la scelta. Mi pare che Stern detti ben ampi motivi di convenienza.
Lecito sospettare che sto parlando di me e per me (che male c’è?), amorevole pensare che sto abbracciando tutte le donne che vorrebbero offrire il meglio di sé percepito, raccolto e integrato nel diventare madri, anche nel mondo del lavoro e non solo nei ruoli più marginali di esso che non risentono delle assenze della maternità. Confido in un’economia con l’assetto materno. Utopia? No, sono sicura che Viola crescerà in una società del lavoro più lungimirante.