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sabato 24 luglio 2010

Violapensiero n° 3

Quando si diventa mamma?
Nel corso delle mie ricerche, mentre andavo scoprendo che tutte le mamme hanno in comune uno specifico assetto materno, cominciai a chiedere in quale momento avevano sentito di essere diventate davvero madri, presumendo che la risposta sarebbe stata: «Quando ho partorito, naturalmente». Dalle loro risposte imparai invece che la maggior parte della madri «diventa mamma» più e più volte con certezza crescente, nell’arco di diversi mesi. La nuova identità può sbocciare in un momento qualsiasi della gravidanza, per configurarsi poi con maggior precisione dopo la nascita del bambino e dispiegarsi pienamente dopo parecchi mesi di cure a casa, quando la mamma si rende conto di esser divenuta tale anche ai propri occhi. Ogni stadio di questa presa di coscienza ha valore di per sé, ma ogni volta viene aggiunto qualcosa in più all’identità materna. Il processo che dà luogo alla nascita dell’assetto materno attraversa dunque varie fasi: perché si formi una nuova identità è necessario che vi prepariate mentalmente al cambiamento, per poi affrontare un intenso travaglio emotivo che farà emergere nuovi aspetti di voi stesse; infine dovrete assumervi il compito di integrare con il resto della vostra vita le trasformazioni già avvenute. Tutto ciò avviene mentre voi siete impegnate a far crescere un bambino che sconvolge la vostra routine quotidiana, vi tiene sveglie di notte e richiede interamente la vostra attenzione. Però, quando guarderete in retrospettiva alla vostra vita, essere diventate mamma vi sembrerà una delle imprese più straordinarie che abbiate mai realizzato.”


Daniel N. Stern, Nascita di una madre –
Come l’esperienza della maternità cambia una donna

Il saggio di questo psicanalista specializzato nell’età evolutiva e professore di psicologia infantile (in realtà scritto assieme alla moglie, pediatra e psichiatra, e ad una giornalista specializzata nei temi della salute e della maternità) è ormai datato almeno nella stesura – la prima edizione è del 1999 – ma conserva il pregio di partire “dall’esperienza interiore vissuta dalle donne che diventano madri, un’esperienza spesso destinata a restare chiusa dentro di loro”. Non che non mi interessino e non senta il bisogno di approfondire tutta una serie di dinamiche concrete che ti travolgono e di cui non sapevi nemmeno l’esistenza e che riassumerei con il titolo “dall’acido folico al colostro”, ma sono amenità alla luce del sole che ricevono già attenzioni di ginecologi, ostetriche e medici. Quello che in contemporanea accade dentro di noi – intimamente – non riceve “monitoraggio”.

Tra la medicalizzazione costante dei processi fisiologici e biologici messi in atto nelle attuali gravidanze e i cambiamenti interiori che nel frattempo si compiono c’è una sproporzione di attenzione spaventevole. L’accento è ancora sul fisico, legittimo, ma l’anima e la testa sono “organi” che del fisico si prendono gioco come e quando vogliono. Penso sia ormai chiaro, leggendomi, che mi piace far emergere in superficie più questa crosta intima, su cui rischiamo solitudine e abbandono, che non la miriade di informazioni sul nostro corpo che senza tregua va ad ingrossare la cartella “nove mesi”. Si sa che ne abbiamo guadagnato in salute e vita della mamma e del bambino, ma qualche nonna, raccontandoti che partoriva nei campi senza aver mai fatto neanche una visita, qualche pensiero te lo mette…

In un percorso a ciclo continuo di “gravidanza consapevole e yoga preparto” promosso dall’Associazione Insieme di Rubano, che ho frequentato al posto del corso preparto in ospedale, ho avuto la fortuna di mettere insieme queste due sfere – fisica e psicologica – che come marito e moglie sono bisognose di un dialogo costante. Al termine dell’ottavo mese non ho consigli da dare a nessuna futura mamma, mi sento ancora “primitiva”, se non questo corso o altri similari, perché hanno la capacità di stendere un tappeto su cui ti viene voglia di sederti per ascoltare tutta te stessa, in particolare quelle zone che nessun prelievo venoso sarà in grado di raccontare, ma che per la salute del bambino hanno altrettanta importanza.

In gravidanza vorresti indossare quotidianamente una maglietta super-tech che riporta le risposte aggiornate alle domande che io stessa facevo quando trovavo un’amica in fase di espansione. Mi riferisco a: come stai fisicamente? Procede tutto bene? In quanti mesi sei? L’ecografia come è andata? Il sesso? Come la/lo chiamerete? Quando nascerà? E vattela a pesca… Una sorta di “home page” della gravidanza che diventa un tormentone e che potrebbe essere pubblicata e aggiornata su un profilo on line, perché non ha bisogno di una grammatica intensa e ricercata come hanno i pensieri disordinati e della madre che sta nascendo in noi. C’è un medico che si preoccupa se per caso quella madre non si stia sviluppando o si sia arenata nella sua esperienza passata di figlia, magari con alle spalle pure una madre “impegnativa”? Forse si, qualcuno ci sarà, ma ancora troppo rari. Tutte le attenzioni per il feto, che in realtà si sta già sviluppando anche nella sua personalità e molte delle sollecitazioni che riceve su questo fronte arrivano proprio dalle emozioni e vicende interiori della madre (e non dagli integratori di ferro, magnesio, potassio…..!!!!) escluse dalla cartella clinica.

Se volete creare un po’ di sano panico su vostra moglie, compagna, amica, collega, donna espansa per strada, fermatela e chiedetele “quando sei diventata madre?”. Forse qualcuna vi saprà rispondere all’istante con certezza disarmante ricca di dettagli, forse altre si prenderanno del tempo per pensarci e vi daranno appuntamento per una tisana, altre magari si ritorceranno in una timida barricata… ma la domanda è quella giusta e in questi casi la risposta conta meno, vale il processo che stimoliamo nella dea che abbiamo incontrato e nel dono che le abbiamo inaspettatamente portato. E costa meno dei giocattoli, creme, vestitini che regaliamo, ma lascia un ricordo eterno di qualcuno che davvero c’ha sfiorate. (Mi raccomando con questa scusa non interrompete i regali!!!)

Non racconterò qui una mia risposta a questa bella domanda, perché voglio lasciarmi la gioia (e la fatica) di rispondere a quanti avranno voglia di chiedermelo “in presenza” (dicitura che ho appreso essere in voga tra gli esperti di new media).
Percepisco il bisogno di aggiungere solo un altro tassello prima di chiudere il Violapensiero n° 3. Saranno pensieri lunghi, ma scrivo senza editore, direttore, battute e compenso e quindi spazio libero e senza l’ansia che non arriverete alla fine. Manca uno spillo che punge sugli aspetti sociali di questo discorso.

Se io fossi un datore di lavoro, indistintamente che si tratti di un uomo o di una donna, dopo aver letto il passo citato in alto di Stern mi sentirei di investire sulle madri nella mia azienda. Se una donna riesce a compiere quel cammino che Stern riassume brevemente, è una forza della natura per l’economia. In sé ha le caratteristiche per superare una crisi, per aprire nuove strade di produzione, per assicurare una creatività di pensiero e azione che per prima ha messo in atto nella sua “azienda” più intima di madre.
Sarà pur vero che manchiamo per alcuni periodi, che ci assentiamo più dei padri per assistere i figli malati (cose che fanno bene all’umanità e che andrebbero accettate come il pc che s’impalla o la fotocopiatrice che oggi non va, ma talvolta alle macchine si concede di più che alle persone…), ma quando ci siamo, possiamo portare quella forza di “integrazione” che richiama Stern, che fa bene ad ogni impresa, azienda, industria. Si sa che in questi contesti le decisioni non si prendono sulla scia di una scala valoriale, magari qualche imprenditore anche si, ma nella maggior parte dei casi è la convenienza a dettare la scelta. Mi pare che Stern detti ben ampi motivi di convenienza.

Lecito sospettare che sto parlando di me e per me (che male c’è?), amorevole pensare che sto abbracciando tutte le donne che vorrebbero offrire il meglio di sé percepito, raccolto e integrato nel diventare madri, anche nel mondo del lavoro e non solo nei ruoli più marginali di esso che non risentono delle assenze della maternità. Confido in un’economia con l’assetto materno. Utopia? No, sono sicura che Viola crescerà in una società del lavoro più lungimirante.

giovedì 22 luglio 2010

Viola pensiero n° 2

“E’ perché la sorte delle generazioni future è nelle mani delle donne che questo libro si rivolge essenzialmente a loro. Gli uomini fabbricano macchine. Le donne creano uomini. La bellezza di questa missione, ai miei occhi, è ineguagliabile. Se la tecnologia talvolta può aiutare la natura a sopperire a certi suoi difetti, essa comunque non può mai sostituirsi a ciò che una madre nel corso di una gravidanza vissuta in armonia, dà a suo figlio e che determina in parte la sua salute e il suo equilibrio futuro.
Facendo credere alle donne, che per essere uguali agli uomini, dovevano assomigliare a loro (lavorare come loro, conquistare una posizione sociale in vista, libere di viaggiare e di lasciare il focolare domestico), l’ideologia femminista le ha profondamente alienate. A forza di voler assomigliare agli uomini, molte di loro hanno perduto la loro specifica identità. Parità dei diritti certamente, a condizione però che questo non significhi somiglianza e perdita del senso della propria vita”.

Jean-Pierre Relier, Amarlo prima che nasca
Ce n’è per un convegno! Relier è un autore che mi ha accompagnato nel secondo trimestre del formato espansa. Un primario parigino di medicina neonatale con un’attenzione molto spinta alla sfera psicologica. Le sue parole, scomode per uomini e donne, sono una provocazione che continua a darmi tormento.

Avere un figlio è l’occasione per farsi venire la “mammite” acuta e non guarirne mai più, oppure anche per aggiornare il proprio pensiero su molte questioni che ti riguardano, ma che non hai mai seriamente considerato perché eri occupata “a somigliare agli uomini”. Inconsapevolmente, e forse anche inutilmente, perché non saremo mai come loro e dice bene Relier, non c’appartiene. O rovesciandola, che mi sembra anche più interessante, loro non saranno mai come noi e forse, da furbi, mai hanno pensato di volerlo. Va ammesso che mi ritengo molto fortunata a vivere in un tempo storico e personale in cui mio marito contempla una sana condivisione – ognuno secondo le sue specificità di genere e personalità – delle responsabilità che la genitorialità comporta.

Chi mi conosce bene sa che di affetto per il femminismo ne ho da vendere, la parità dei diritti è una battaglia irrinunciabile che mi anima focosamente (anche associativamente: CIF resisti!), ma prima di trovarmi su questa poltrona Ikea ad attendere il passare delle notti in onore di Viola, non avevo mai colto quanto la donna si trovi a vivere un’esperienza così singolare e all’uomo impedita. Eppure vi partecipa nel determinarla a monte e durante con il livello di benessere e/o malessere che saprà regalarti accanto.

Si certo, inizia tutto con la consapevolezza che ti assale fin dalle primissime ore dell’essere gravida, che ti trasformano biologicamente in altro da te – a partire da ciò che si vede (il seno!) a ciò che non si vede (guarda caso proprio dove siamo diverse dagli uomini) – e che ti fa sentire come una “dea” (non esagero!) sul cui corpo marcia inesorabile il mondo. Cosa diceva Relier… le donne creano uomini! Non è abbastanza per assicurarci un posto in prima fila nell’identità di genere, nelle politiche statali, negli ambienti di lavoro, nella Chiesa? Il nostro è un punto di vista che andrebbe ascoltato, meditato, contemplato e tutelato. Ovvio che parliamo di donne di buon senso. So di non dire nulla di nuovo, forse scontato, ma così lontano ancora dalla realtà che mi giustifica a ridirlo.

Non dobbiamo conquistare nulla, abbiamo tutto dentro di noi. Come donne, e non serve diventare madri, il nostro germe più intimo porta già i segni di questa vocazione. Se l’altra metà del cielo ci dimentica in questo nostro “dolce sentire”, è un danno che si arrecano personalmente, ma per convincerli del contrario dobbiamo davvero corrergli dietro perdendo le sembianze della dea?

Io sento di aver vissuto anni della mia vita a compiere questa assurda maratona al maschile, perdendomi delle prelibatezze dell’essere donna intime e necessarie che ora mi sto riprendendo largamente. Ma si deve attendere una gravidanza? Facile riprendersele. C’è un’intelligenza al femminile che va usata e promossa sempre in ogni ambiente, indipendentemente dallo stato affettivo che la donna sta vivendo.

C’è un però: sono le madri a creare gli uomini. Relier insegna. Forse dobbiamo rivedere qualcosa su questo fronte. Forse correndo alcune maratone, ce ne siamo perse altre e non siamo state capaci (plurale che scende lontano nel tempo, ma che abbraccio ugualmente) di imprimere dalla gravidanza ai passi successivi della crescita quell’ amore e desiderio dell’uomo verso l’intelligenza femminile. Un rispetto che non siamo riuscite a seminare. Il contesto non aiuta, anzi determina, ma noi donne forse non abbiamo fatto abbastanza nel nostro cortile pedagogico.

Nel mio futuro di mamma, per ora di una femmina, chissà mai anche di un maschio, mi auguro di riuscire a sfiorare Viola con questo profumo, di saperla educare, nella libertà, a lasciar volare la donna che è in lei senza rincorrere falsi miti. In lei, già dea, si ripropone “la sorte delle nuove generazioni”. Tanto di cappello a Relier.

Alla prossima, una webmamma

p.s. Il web è rispettoso dell’identità di genere. Chi negherebbe mai un blog ad una donna? Inchino digitale agli uomini che creano le macchine giuste!

mercoledì 21 luglio 2010

Viola Pensiero n° 1

"Paradossalmente, la prima azione volontaria che la mamma può compiere sul suo bambino è di tipo espulsivo: in questo modo, con un forte difficile atto di separazione, la natura chiede un processo iniziato simbolicamente nei nove lunghi mesi di contenimento. Ciò descrive e delinea, fisicamente ed emotivamente il "materno" nella sua interezza: madre è colei che contiene protettivamente, ma che inesorabilmente, con il proprio "maschile" - quella porzione di maschile di cui ormonalmente ed emotivamente è dotata - spinge verso la vita, stacca da sé in un atto di generosa liberazione e donazione, rinunciando a un possesso totale e perenne del bambino. Il "maschile" pone un limite al "femminile": senza questo limite non sarebbe possibile la sopravvivenza. "Maschile" e "femminile" si integrano a proteggere e garantire la vita: sono i fondamenti biologico-affettivi dell'esistere umano."

Ho un debito con la rivista "Noi Genitori & Figli" che mi ha fatto conoscere questo libro di Giuliana Mieli Il bambino non è un elettrodomestico che spero possa incrociare mani di lettrici non solo donne, mani non solo di madri. Tutti siamo stati dei non-elettrodomestici e continuiamo ad esserlo e per promuovere una cultura in tal senso, sarebbe positivo approfondire quali atteggiamenti possiamo mettere in campo concretamente.

Mi piace iniziare i Viola pensiero con questo ritaglio letterario di quanto devo ancora vivere (il parto), perché non mi appartiene rispettare l'ordine di cosa ho provato quando l'ho saputo, quando il seno mi è esploso, quando si è mossa la prima volta, quando ogni mattina vomitavo e poi mi con un sano restauro arrivavo al lavoro come niente fosse e così via. No, troppo ordine.

La filosofa Mieli dice bene all'inizio della citazione: "la prima azione volontaria"... è l'espulsione. Come è vero. Finora 8 mesi di zona franca, una liberazione a livello esperienziale. Senti di aver ceduto il timone che metteva insieme testa, cuore, anima e corpo. Un po' alla volta comprendi che questa ruota è ancora dentro di te, ma è posizionata nella parte dove di solito finivano tutte le emozioni, in particolare quelle più dolorose. E che non sei certo tu a timonare. E non solo fisicamente.

Tra la pancia e l'utero ora c'è una casa e la speranza è che le emozioni forti e taglienti di una vita non l'abbiano resa troppo inospitale. Purtroppo non funziona come gli alberghi che mesi prima si prende la prenotazione del fagiolo che sta arrivando in vacanza, in modo da fare, che ne so..., una bella pulizia stagionale con una terapeuta o anche semplicemente qualche chiaccherata con te stessa in vista del nuovo soggiorno. Ecco, magari. Se hai trattato bene la tua pancia, meglio così... altrimenti la pulizia si farà in gravidanza, ma quanti fazzoletti. La strepitosa scoperta è che tutto si fa. E che ci sono tante scale da salire ma tutte con il corrimano: non siamo sole. Anche semplicemente il libro giusto (e non per fare le pappe...) può aprire scorci che ci accompagnano ad ospitare al meglio l'umanità che non avremmo mai immaginato.

Io non avevo l'albergo pulito pulito, anzi c'erano proprio dei sentimenti ed emozioni ben sedimentati che mi facevano soffrire e che in gravidanza si sono acutizzati, ma proprio il sentirmi in mare aperto, tra le onde di una navigazione che non stavo governando mi ha aiutato a smascherare questi fantasmi, a trovare le risorse, il tempo e lo spazio per espellere da me questo sporco.

Non è una pulizia perfetta, ogni tanto ricompaiono le ragnatele, ma niente di che. Insomma il parto inizia fin dal primo giorno di gravidanza. Giorno per giorno ti ritrovi a staccare da te, a spingere fuori quanto potrebbe impedire il vero travaglio. Il passato va preso in mano: nove mesi non sono pochi e di tempo per rimettersi in ordine ce n'è. Ho come la sensazione che in sala parto si celebreranno una nascita e una rinascita.

Ti ritrovi a ringraziare il fiore che stai crescendo per motivi completamente diversi da quelli che avresti immaginato e che nessuna pubblicità della Prenatal, Chicco, del Mulino che vorrei o ogni altra stucchevole operazione commerciale ti potrebbe suggerire. Per averti ripulita. Per averti regalato un tempo in cui davvero la spina è stata staccata (eppure fai tutto lo stesso, le responsabilità della vita non vengono meno) e il black out ha ridato luce alle zone d'ombra. Il fagiolo che lentamente prende forma fa anche questo, ma la mamma deve spingere e a quanto pare molto prima della sala parto. Ed è sempre quel tratto "maschile" caro alla scrittrice che ci aiuta e ci appartiene e a cui possiamo volere bene anche se punge, anche se meno rotondo. Una donna vivrebbe con la pancia a vita, le si confà, ma il maschile che non le manca le offre la grinta per stringere i denti e buttare fuori. La fa respirare.

Sono certa che anche per i padri (e non solo) si pongono delle opportunità in gravidanza, ma non per poca attenzione a mio marito, mi piacerebbe che fosse lui o altri che vorranno unirsi a queste chiaccherate, a mettere le parole vere di questa loro esperienza. O anche no... non siamo elettrodomestici a comando.

A proposito di non governo, dopo l'ennesima notte insonne ora gli occhi mi si chiudono e per fortuna questa mattina non ci sono visite, incombenze di lavoro e così via... e godo dell'essere naufraga di un timone che lascio volentieri a Viola. Senza sensi di colpa.

A chi è arrivato in coda alla narrazione, grazie di essere stato con noi due.

Account all'ottavo mese?

Sono una madre impazzita se all'ottavo mese di gravidanza ho già creato un indirizzo mail alla bimba che custodisco in pancia?

Eppure non appartengo alla stirpe dell'aggiornamento profilo ad ogni ora del giorno e della notte, anzi sono pure un po' allergica e la mia bacheca e relativo giardino dell'amicizia preferisco coltivarla dal vivo, ma ammetto che le mail e i blog mi affascinano e mi paralizzano più dei social network. Si, un account per Viola ci sta, perché lei esiste già in tutta la sua libertà, anche se per ora vive attraverso di me, ma già non per me (men che meno per il suo papà che la attende con tutto se stesso). Per se stessa, cara piccola pazza che sembri in costante risveglio muscolare a tratti troppo aerobico.

Come compriamo vestitini, ovetti, passeggini, vaschette, amido di riso per il bagnetto e altre amenità che ho conosciuto da poco tempo e che probabilmente a lei poco importeranno, così possiamo dotarla anche di un account. Al contempo sarà iscritta all'anagrafe del comune e della community della mamma e di chi avrà voglia di leggere questi pensieri disordinati. Mi da soddisfazione aver cercato una relazione consapevole con lei con variopinte modalità che istinto, libri, amici e piacevoli ostetriche che si accompagnana ad insegnanti di yoga mi hanno suggerito.

L'insonnia dell'ottavo mese mi pungola a fare ancora un po' di più. Vorrei tracciare un legame comunicativo tipico del tempo storico in cui Viola sbarcherà. Sarà una "digital kid" come gli illustri colleghi che in questi anni l'hanno anticipata giorno per giorno nei numerosi nidi degli ospedali? Da amante della lettere scritte, stampate e spedite non mancherò di avvicinarla in modo vintage, ma lì ci staranno cose nostre che s'imprimeranno nell'intimità della carta e che Viola leggerà quando l'alfabeto la travolgerà per sempre.

In queste mail indirizzate simbolicamente a lei, che mi separano da oggi al parto, e che mi piacerebbe raccogliere in un blog, vorrei poter raccogliere e donare a donne e uomini quanto ho scoperto in questi mesi e che già mi ha cambiato la vita. Si, lo so... state già pensando che sarà nulla rispetto a quanto ancora non so e mi abbraccerà nei prossimi mesi. Per ora è questo e se presuntuosamente mi permetto di condividerlo è perché mi sono resa conto che in questi anni nessuno mi ha regalato confidenze di questo tipo, ma che sicuramente avrà percepito. Sono certa di essermi avvicinata a loro distratta o di non aver fatto le domanda giuste o creato quell'ascolto capace di attivare un tale dono. Che peccato. Ogni volta che qualcuno mi chiede qualcosa di quanto sto vivendo, per prima colgo l'imperfezione di non saper reagire con un racconto davvero degno della grandezza dell'esperienza.

Eppure finora non è stata una gravidanza così tranquilla da sprofondare nella poesia; ogni mese (ancora adesso!) sta riservando le disfunzioni del caso, alcune proprio faticose ed infinite, ma niente comprime lo stato regale in cui mi sento immersa e che vorrei provare a condividere, perché sento che potrebbe far bene indistintamente. La vita che sboccia non può infastidere nessuno, basta respirare a fondo e trovare le parole per raccontarla. E anche tutto quello che gira di assurdo o poco accogliente nei confronti di una pancia invisibile o extra visibile che si aggira nel nordest. Magari nel meridione è diverso, lasciamo il dubbio...

Chissà se questo movimento di piedini di mia figlia è un applauso al progetto o una rimostranza per tanta velleità. Rischio e inizio questo carteggio mail che chiamerò Viola pensiero n°.... tra madre e figlia in Ccn al giardino amicale. Come un profumo direbbe Chanel, un profumo di vita.

A presto, una webmamma

p.s. Di solito l'inoltro è sconsigliato, quantomeno se non concordato, in questo caso è suggerito (soprattutto perché molti indirizzi purtroppo sono rimasti in ufficio e non ho ancora ripreso la rubrica...) ... e ancor più come anticipavano tempo addietro negli Atti degli Apostoli "noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato".